Anche i giornalisti hanno un patrono San Francesco di Sales
Francesco di Sales fu nominato vescovo di Ginevra in un tempo estremamente difficile a livello ecclesiale. I protestanti avevano “conquistato” la città, tanto che non fu permesso al nuovo vescovo neppure di entrare nella sua sede. Per questo stabilì la propria dimora ad Annecy. Quattro secoli fa, il 16 dicembre 1622 muore a Lione dove si trovava per una missione diplomatica (era nato il 21 agosto 1567); il decesso avviene in un monastero delle Visitandine, una congregazione da lui fondata insieme a santa Giovanna Francesca Frémiot de Chantal.
In occasione del IV centenario ella morte, papa Francesco ha pubblicato una Lettera apostolica dal titolo «Totum amoris est». Tutto appartiene all’amore! È l’emblema di questo santo dottore della Chiesa – «dottore dell’amore divino» così lo ha definito Giovanni Paolo II -; un emblema che egli ha cercato di attuare durante tutto il suo servizio episcopale sia con la predicazione che con gli scritti che, ancora oggi, costituiscono un punto di riferimento per una spiritualità radicata nel quotidiano.
«L’esperienza di Dio – scrive papa Francesco – è un’evidenza del cuore umano. Essa non è una costruzione mentale, piuttosto è un riconoscimento pieno di stupore e di gratitudine, conseguente alla manifestazione di Dio. È nel cuore e attraverso il cuore che si compie quel sottile e intenso processo unitario in virtù del quale l’uomo riconosce Dio e, insieme, se stesso, la propria origine e profondità, il proprio compimento, nella chiamata all’amore. Egli scopre che la fede non è un moto cieco, ma anzitutto un atteggiamento del cuore. Tramite essa l’uomo si affida a una verità che appare alla coscienza come una “dolce emozione”, capace di suscitare un corrispondente e irrinunciabile ben-volere per ogni realtà creata, come lui amava dire.
Nel prosieguo della Lettera papa Francesco si pone domande che sorgono in un passaggio d’epoca come quello che stiamo vivendo in questo tempo. E così scrive: «Nella ricorrenza del quarto centenario della sua morte, mi sono interrogato sull’eredità di San Francesco di Sales per la nostra epoca, e ho trovato illuminanti la sua duttilità e la sua capacità di visione. Un po’ per dono di Dio, un po’ per indole personale, e anche per la sua tenace coltivazione del vissuto, egli aveva avuto la nitida percezione del cambiamento dei tempi. Lui stesso non avrebbe mai immaginato di riconoscervi una tale opportunità per l’annuncio del Vangelo. La Parola che aveva amato fin dalla sua giovinezza era capace di farsi largo, aprendo nuovi e imprevedibili orizzonti, in un mondo in rapida transizione. È quanto ci attende come compito essenziale anche per questo nostro passaggio d’epoca: una Chiesa non autoreferenziale, libera da ogni mondanità ma capace di abitare il mondo, di condividere la vita della gente, di camminare insieme, di ascoltare e accogliere. È quello che Francesco di Sales ha compiuto, leggendo, con l’aiuto della grazia, la sua epoca. Perciò egli ci invita a uscire da una preoccupazione eccessiva per noi stessi, per le strutture, per l’immagine sociale e a chiederci piuttosto quali sono i bisogni concreti e le attese spirituali del nostro popolo. È importante, dunque, anche per l’oggi, rileggere alcune sue scelte cruciali, per abitare il cambiamento con saggezza evangelica».
Perché patrono dei Giornalisti?
Fu Papa Pio XI a proclamare Francesco di Sales, il 26 gennaio 1923, patrono di “tutti quei cattolici, che con la pubblicazione o di giornali o di altri scritti illustrano, promuovono e difendono la cristiana dottrina” (Enciclica «Rerum omnium»), titolo poi confermato da Paolo VI all’indomani del Concilio Vaticano II.
Perché dunque patrono dei giornalisti? Cosa hanno da spartire i mezzi di comunicazione sociale con un vescovo e teologo del ‘600?
«Proveniente dal mondo dorato della nobiltà sabauda – così scrive Francesco Lepore -, Francesco scelse la via del sacerdozio dopo gli studi giuridici compiuti a Parigi e a Padova. L’instancabile attività ministeriale, dispiegata in una regione prevalentemente calvinista come lo Chablais, gli meritarono (all’età di 32 anni) la nomina a coadiutore del vescovo di Ginevra, a cui successe nella guida della diocesi dal 1602 al 1622.
Capacità di andare controcorrente, lungimiranza, modernità, dunque, di cui Francesco di Sales aveva già dato prova nel primo confronto col mondo riformato. A mezzi classici come la predicazione e la disputa teologica egli ne aveva escogitato uno, davvero particolare: pubblicazione di fogli volanti (i cosiddetti manifesti) che, pensati come mezzo di catechesi e informazione religiosa, potevano raggiungere tutti attraverso l’affissione murale o la consegna ai singoli usci.
A toni polemici e atteggiamenti severi Francesco preferì inoltre il metodo del dialogo e della dolcezza, seguendo la massima: “Se sbaglio, voglio farlo per troppa bontà piuttosto che per troppo rigore”. Fu dunque una giusta valutazione quella che indusse Pio XI a proclamare Francesco di Sales patrono di “tutti quei cattolici, che con la pubblicazione o di giornali o di altri scritti illustrano, promuovono e difendono la cristiana dottrina”. E all’indomani del Vaticano II Paolo VI volle nuovamente additare il vescovo di Ginevra come modello dei giornalisti cattolici nella lettera apostolica Sabaudiae gemma. È diventata poi tradizione che il testo del messaggio pontificio in occasione della Giornata mondiale per le comunicazioni sociali venga pubblicato proprio in concomitanza con la memoria liturgica del santo (24 gennaio)».
Ogni anno la giornata delle comunicazioni sociali che si ricorda nella solennità dell’Ascensione del Signore è arricchita da un messaggio pontificio che declina aspetti sempre attuali di una missione qual è quella del giornalista. L’esempio – e l’intercessione – di san Francesco di Sales permane come un punto di riferimento per svolgere questo servizio alla comunicazione e alla cultura all’insegna della più grande deontologia professionale.