Santo del Giorno, 22 maggio – Santa Rita da Cascia
Rita da Cascia, al secolo Margherita Lotti, è stata una religiosa italiana del monastero eremitano di Santa Maria Maddalena. Papa Urbano VIII la beatificò nel 1628, Papa Leone XIII la proclamò santa nel 1900.
Molta parte della vita di Rita risulta oscura dal punto di vista della documentazione storica. Ci sono pochissime fonti più o meno coeve. Tra queste si annoverano l’iscrizione e le immagini dipinte sulla “cassa solenne” (datata 1457). Ricordiamo inoltre il Codex miraculorum (elenco di miracoli registrato dai notai su richiesta del comune di Cascia, preceduto da una breve biografia scritta dal notaio Domenico Angeli, anch’essa del 1457). E poi una tela a sei scomparti con episodi della vita (1480 circa).
La prima ricostruzione agiografica completa a noi giunta risale soltanto al 1610, ad opera di padre Agostino Cavallucci, agostiniano. Su tale testo si modelleranno tutte le successive biografie della santa. Cavallucci si basò sulla tradizione orale, e sulle poche fonti iconografiche precedenti, probabilmente servendosi, per il resto, di topoi agiografici consolidati.
Giovinezza
Il luogo di nascita è concorde per Roccaporena, una frazione montagnosa a circa cinque chilometri da Cascia (provincia di Perugia). All’epoca era uno dei castelli ghibellini facenti parte del contado del comune di Cascia. Le date di nascita e morte sono incerte. Dipendono tra l’altro dall’altezza cui si pone la data di morte, ovvero il 1447 per alcuni o il 1457 per altri. Papa Leone XIII, in occasione della canonizzazione di Santa Rita, sostenne le date 1381 e 1457.
Secondo le biografie tradizionali, Rita nacque da Antonio Lotti e Amata Ferri, genitori già anziani, molto religiosi. Il Comune li nominò “pacieri di Cristo” nelle lotte politiche e familiari tra guelfi e ghibellini. Vivevano in discrete condizioni economiche, come proprietari di terreni agricoli.
I genitori, come era d’uso, la indirizzarono molto presto verso il matrimonio. Rita sposò quindi Paolo di Ferdinando di Mancino (o Mancini), forse un ufficiale della guarnigione di Collegiacone. Lo descrissero tradizionalmente come un uomo orgoglioso ed irruente, appartenente alla fazione ghibellina.
Matrimonio
Le nozze si tennero nella chiesetta di San Montano a Roccaporena. Secondo le agiografie tradizionali, il carattere mite di Rita acquietò, col tempo, lo spirito impulsivo e violento del marito, tanto che questi abbandonò le armi per convertirsi al lavoro presso un mulino da poco accomodato come loro casa. Nacquero due figli (forse gemelli), Giangiacomo Antonio e Paolo Maria.
Dopo alcuni anni di matrimonio, Paolo Mancini venne ucciso — probabilmente da suoi ex-compagni, a causa di rancori passati ed accuse di tradimento — mentre rincasava in piena notte. Tuttavia, Rita non serbò odio, anzi perdonò gli assassini e pregò anche per i suoi due figli che, come era costume del tempo, probabilmente stavano pensando alla vendetta. I due figli, da lì a breve, morirono di malattia, quasi contemporaneamente.
Monaca agostiniana
Abbandonata anche dai parenti del marito, Rita decise di prendere i voti ed entrare nel monastero agostiniano di Santa Maria Maddalena, a Cascia. Chiese per tre volte inutilmente il noviziato, che le venne rifiutato per ragioni non chiare. Alcuni biografi pensano che rappresentasse un ostacolo la presenza di una parente del marito mai vendicato tra le monache.
Tuttavia, con tenacia, fede e preghiera, Rita convinse la famiglia Mancini ad abbandonare ogni proposito di vendetta. Dopo aver riconciliato i Mancini con le fazioni degli assassini, Rita riuscì ad entrare in monastero intorno al 1407.
Secondo la tradizione agiografica che si rifà alla biografia di Cavallucci, in piena notte, i suoi tre santi protettori portarono Rita in volo dal cosiddetto “scoglio” di Roccaporena (altura dove andava spesso a pregare) fino dentro le mura del monastero di Cascia. I tre santi sono Agostino, Giovanni Battista e Nicola da Tolentino, quest’ultimo canonizzato soltanto nel 1446.
Sempre secondo Cavallucci, la badessa del monastero mise a dura prova la vocazione e l’obbedienza di Rita, facendole annaffiare un arbusto di vite secco, presente nel chiostro del monastero. Il legno, dopo un po’ di tempo, riprese vita e dette frutto. Nello stesso chiostro, oggi, è presente una vite risalente al XIX secolo. Durante i quarant’anni di vita monacale, Rita si dedicò alla preghiera, a penitenze e a digiuni nel monastero. Inoltre uscì spesso per andare in servizio a poveri e ammalati di Cascia.
La spina sulla fronte
C’è una tradizione devozionale legata alla sera del Venerdì Santo 18 aprile 1432 (o 30 marzo 1442 secondo un’altra tradizione). Ritiratasi in preghiera della Passione di Gesù, Rita avrebbe ricevuto una spina dalla corona del Crocifisso conficcata in fronte. L’evento è uno dei pochi della vita della monaca esplicitamente ricordato nell’iconografia quattrocentesca pervenutaci. Lo troviamo anche nel breve testo dipinto sulla “cassa solenne” (1457), nel quale si legge “quindici anni la spina patisti”.
Il viaggio a Roma
La stigmata sulla fronte e la precaria salute la obbligavano a non spostarsi da Cascia. Tuttavia, si narra che nel 1446 partì per Roma, per assistere alla canonizzazione del predicatore agostiniano Nicola da Tolentino. La badessa era contraria per via della ferita purulenta sulla fronte. Ma essa scomparve il giorno prima del pellegrinaggio, così che Rita poté partire. Al ritorno da Roma, però, la stigmata ricomparve.
Gli ultimi giorni
Rita rimase malata a letto per molto tempo. Sempre secondo la tradizione devozionale seicentesca, Rita è legata strettamente alle api. Come apparvero api bianche sulla sua culla, così apparvero api nere sul suo letto di morte.
Inoltre, nonostante il freddo stagione, nell’inverno prima di morire Rita mandò sua cugina a prendere una rosa e due fichi nel suo orto a Roccaporena. La cugina, incredula, pensava che delirasse, ma effettivamente trovò tra la neve la rosa rossa e i fichi richiesti.
Questi furono segni interpretati come la salvezza e il candore dell’anima di suo marito e dei suoi figli.
Sulla base di questi racconti, le api, le rose e la spina sono diventati gli attributi iconografici più frequenti della Santa.
La monaca agostiniana si spense la notte del 22 maggio 1447 (o, per altri, 1457).
Il culto e la canonizzazione
Collocarono il suo corpo dapprima in una cassa semplice, detta “cassa umile”. Non lo inumarono mai a causa dell’immediata devozione dalla quale venne investito. I primi miracoli vennero registrati dai notai nel Codex miraculorum (Codice dei miracoli) a partire dal 1457 e fino al 1563 (in totale, quarantasei miracoli).
In seguito a un incendio, nel 1457, venne realizzata la cosiddetta “cassa solenne”. Decorarono la cassa con immagini della Santa e con un breve testo in dialetto casciano quattrocentesco. Il testo riassume gli ultimi anni della sua vita. La cassa è ancora oggi conservata nella cella dove morì, nella parte antica del monastero di Cascia.
Nel 1743 la salma fu traslata in un’urna in stile barocco, e nel 1947 nell’attuale teca di vetro all’interno della basilica.
La venerazione di Rita da Cascia da parte dei fedeli iniziò subito dopo la sua morte. La devozione si caratterizzò di un elevato numero e dalla qualità degli eventi prodigiosi, riferiti alla sua intercessione. Per questo Rita acquisì l’allocuzione di “santa degli impossibili”. La sua beatificazione avvenne, però, dopo varie vicissitudini, soltanto nel 1628, 180 anni dopo la sua morte, durante il pontificato di Urbano VIII, già vescovo di Spoleto. Leone XIII, nel 1900, la canonizzò come santa.
La Chiesa cattolica, ai fini della canonizzazione, richiede il riconoscimento di due miracoli. Nel caso di santa Rita, si tratta di due guarigioni ritenute miracolose.
La prima è quella di Elisabetta Bergamini, una bambina che stava per perdere la vista a causa del vaiolo. C’è inoltre la guarigione, ritenuta miracolosa, di Cosma Pellegrini, un anziano sarto di Conversano affetto da una gravissima forma di gastroenterite cronica. Quest’ultimo, prima di recuperare improvvisamente la salute nel 1887, dopo aver ricevuto l’estrema unzione, avrebbe avuto una visione della santa. A questi episodi si aggiunse il gradevole e inspiegabile profumo che emanava dai resti del corpo della santa.
I credenti suoi devoti la chiamano “santa degli impossibili”, perché dal giorno della sua morte sarebbe “scesa” al fianco dei più bisognosi, realizzando per loro miracoli prodigiosi, eventi altrimenti ritenuti irrealizzabili. La devozione popolare cattolica per santa Rita è tuttora una delle più diffuse al mondo. Fin dal 1600 e per opera degli agostiniani, è particolarmente radicata, oltre che in Italia, in Spagna, Portogallo e America Latina.
Con la riforma dell’anno liturgico del Martirologio Romano, il 22 maggio, sua festività, è diventata memoria.
Il corpo
I resti della santa sono conservati a Cascia, all’interno della basilica di Santa Rita, facente parte dell’omonimo santuario e fatta erigere tra il 1937 e il 1947. Il corpo è rivestito dall’abito agostiniano cucito dalle monache del monastero, come voluto dalla badessa Maria Teresa Fasce, e posto in una teca all’interno della cappella in stile neo bizantino.
Ricognizioni mediche effettuate nel 1972 e nel 1997 hanno confermato la presenza, sulla zona frontale sinistra, di tracce di una lesione ossea aperta (forse osteomielite). Mentre il piede destro mostra segni di una malattia di cui avrebbe sofferto negli ultimi anni di vita, forse associata ad una sciatalgia. Era alta 1 metro e 57 cm. Il viso, le mani e i piedi sono mummificati, il resto del corpo, coperto dall’abito agostiniano, è in forma di semplice scheletro.
Fonte: Wikipedia