Il Santo del Giorno

Santo del Giorno, 4 novembre – San Carlo Borromeo

Carlo Borromeo è stato un cardinale e arcivescovo cattolico italiano, venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Nel 1610 papa Paolo V l’ha canonizzato a soli 26 anni dalla sua morte. San Carlo è considerato tra i massimi riformatori della Chiesa cattolico-romana nel XVI secolo, assieme a sant’Ignazio di Loyola e san Filippo Neri, nonché anima e guida della Controriforma cattolica. Tra le riforme di maggior importanza da lui proposte e accettate dal Concilio di Trento, vi fu l’istituzione dei seminari per la formazione dei presbiteri e la loro educazione. Era nipote, per parte di madre, di papa Pio IV.

Ritratto del cardinale Borromeo, opera di Ambrogio Figino, presso il Museo diocesano di Milano (Fonte: Wikipedia)

Storia

In un secolo in cui l’altezza media degli uomini non superava il metro e sessantacinque, Carlo Borromeo era alto più di un metro e ottanta. Così lo descrive Federico Rossi di Marignano: non solo era molto alto, ma era anche di corporatura robusta. Carlo osservava la raccomandazione di Ambrogio e di Agostino di digiunare e destinare ai bisognosi il denaro risparmiato. Tuttavia, negli ultimi anni di vita non si asteneva completamente dal mangiare, ma invece, secondo l’uso ecclesiastico antico, consumava un solo pasto al giorno, dopo il vespro. Sembra però che, pur tralasciando i cibi costosi e preferendo il semplice pane, l’assumesse «in assai quantità».

Carlo Borromeo portò sempre la barba, anche se la vasta iconografia seicentesca lo raffigura rasato. Cominciò infatti a radersi solo nel 1576, al tempo della peste, e mantenne il volto rasato in segno di penitenza durante gli ultimi otto anni di vita. Nipote del papa, il Borromeo fu da lui nominato cardinale e segretario privato quando aveva poco più di vent’anni. In tale veste il giovane Carlo partecipò ai lavori del Concilio di Trento, divenendone protagonista proprio nel periodo conclusivo.

Dopo la morte dello zio, nel 1566 Carlo Borromeo si trasferì da Roma a Milano, attuando nella diocesi ambrosiana i dettami tridentini e vivendo in ascetica povertà. Carlo dedicò la sua azione pastorale alla cura delle anime e alla moralizzazione dei costumi, promuovendo oltre al culto «interiore» anche il culto «esteriore». Promuoveva quindi riti liturgici, preghiere collettive, processioni. Ravvivò in tal modo la fede, l’identità e la coesione sociale soprattutto dei ceti più popolari. Riformò la diocesi, nella quale la disciplina ecclesiastica era «del tutto persa», perché da quasi un secolo gli arcivescovi titolari, risiedendo altrove, l’avevano abbandonata a se stessa limitandosi a goderne le rendite.

Carlo affrontò «contrasti tanto grandi […] et da persone tanto potenti che havriano impaurito ogni grand’animo». Nell’attuare i decreti tridentini il Borromeo si espose infatti alla reazione di coloro che vedevano lesi i propri privilegi. Fu contrastato dai governatori spagnoli e dal Senato milanese, minacciato con i bastoni dai frati minori osservanti, aggredito con le spade dai canonici di Santa Maria della Scala. Fu minacciato dalle monache di Sant’Agostino, vilipeso da quelle di Lecco e colpito con una archibugiata alla schiena da un sicario dell’ordine degli umiliati.

Carlo Borromeo e le donne

Nell’esercizio della sua attività pastorale Carlo incontrò molte donne. Tuttavia trattò sempre con esse con molta prudenza, sia per evitare insinuazioni, sia perché intendeva mantenere il voto di castità, sfuggendo possibili tentazioni. Pertanto, quando era necessario parlare con persone di sesso femminile, Borromeo faceva sempre in modo che fossero presenti testimoni, preferibilmente ecclesiastici. Il colloquio avveniva, come ricordò il suo segretario Gerolamo Castano «in loco più publico che poteva […] et non si tratteneva se non quel manco tempo che poteva, trattando se non di quelle cose che erano necessarie».

Nel processo di canonizzazione i contemporanei dettero l’appellativo di ‘Castissimo’ a Carlo Borromeo per la sua tenacia nella virtù della castità e della verginità consacrata. In gioventù aveva gettato a terra un suo vecchio servitore, reo di avergli fatto accomodare una donna nel suo letto pensando di fargli cosa gradita e non immaginando la reazione del giovane signore.

Carlo Borromeo rimase terribilmente sconvolto anche imbattendosi nell’immagine della “Leobissa”, moglie del Barbarossa o imperatrice di Costantinopoli (secondo le diverse leggende). I Milanesi per scherno l’avevano effigiata nuda nella pietra e in atto di radersi come usavano le prostitute. Quell’immagine aveva da secoli partecipato, con la sua familiare immobile presenza, a tutto lo scorrere della vita cittadina. Nel vederla incombente a gambe larghe dall’arco di Porta Tosa, il santo si sentì beffato e annichilito. 

Da giovane suonava liuto e violoncello, amava il fasto, la caccia, le feste e gli scacchi. Ma la morte improvvisa del fratello primogenito lo indusse a cambiare vita e diventare sacerdote, conducendo una vita morigerata per il resto dei suoi giorni.

Fondò l’Accademia delle Notti vaticane, i cui membri erano sia autorità ecclesiastiche sia laici. Essi si riunivano per discutere della riforma dei costumi in un’ottica cristiana.

Il Sancarlone

La figura di san Carlo Borromeo è oggi ricordata con uno straordinario monumento, unico nel suo genere. Si tratta di una gigantesca statua posta ad Arona e chiamata popolarmente il Sancarlone. Il nome è dovuto alle enormi dimensioni che la contraddistinguono e che la rendono visibile anche a lunga distanza. Nelle intenzioni della città di Arona, essa avrebbe dovuto essere il culmine di un Sacro Monte a lui dedicato, ma mai completato.

Tale opera, alta 23 metri, in lamina di rame fissata con rivetti, su un’anima in muratura (al cui interno è possibile accedere), ha ispirato la tecnica di costruzione della Statua della libertà.

Lo “Scurolo di San Carlo” sotto l’altare del duomo di Milano, che dal XVII secolo accoglie le spoglie del santo arcivescovo milanese. (Fonte: Wikipedia)

 

Fonte: Wikipedia