La Teologia Della Tenerezza: Priorità del Sentire
Il metodo di questa teologia non si concentra sul concetto o sulla prassi, ma sul sentire: è una novità nel campo teologico, perché di solito la teologia si basa sul concetto oppure sulla prassi. Ne consegue che quello che conta non è ciò che si capisce, ciò che si fa; quello che conta è ciò che si sente. È una terza strada, che può risultare rischiosa e che dà vertigini, ma è molto interessante.
In questi anni siamo passati dalla centralità del concetto alla priorità della prassi, ma sistematicamente, purtroppo, abbiamo sempre eliminato il sentire. Una ricerca di teologia basata sulla sensazione incerta verrebbe immediatamente rifiutata perché basata sul sentire. Se invece fosse una terza via? Per questo ci voleva papa Francesco.
Il mondo, specialmente oggi, è più sensibile a ciò che sente emotivamente e questo deve valere anche per gli ambienti ecclesiali. Sicuramente l’equazione «sento» quindi «è vero» non è sempre valida e non è lecito assumerla come criterio di verifica, perché contemporaneamente c’è un nocciolo di validità che non deve essere trascurato, ma approfondito. Una cosa è certa: ciò che sento è più importante di tutto il resto. Se questa fosse invece una nuova via per scoprire altri criteri di verifica, di percepire Dio stesso, non sarebbe in armonia con il concetto di andare oltre? Vincere la diffidenza del sentire è il cammino che coraggiosamente dovremmo intraprendere se vogliamo essere una Chiesa in rifioritura.
In questa ottica acquista valore ciò con cui ho una relazione affettiva. Questo non significa che non entri nel mio mondo affettivo, non abbia valore o che la mia stessa relazione possa essere disordinata; significa anche dare un valore esistenziale alle persone, al mondo, alla vita e a Dio stesso: devo entrare in una relazione affettiva. Non è forse questo il significato dell’asserzione che viene salvato ciò che viene assunto? Assumere affettivamente è un imperativo per la Chiesa stessa, affinché diventi segno della presenza di Dio in mezzo agli uomini, segno del Regno.
Oserei dire che non è la verità che conta, ma conta il sentire Dio. È questo possibile? È valido a livello teologico? In parole più accettabili si potrebbe dire che la verità deve risplendere e che la bellezza è sempre in relazione con il sentire. L’amore di Dio non è mai astratto, ma ci viene comunicato dallo Spirito Santo, che trasforma i nostri sentimenti e i nostri pensieri. Quindi è a livello teologico che è fondata la categoria della tenerezza. Parliamo di tenerezza e con questa intendiamo il sentire l’amore di Dio dentro di noi e oso ancora di più: ciò che conta è sentire di essere amati da Dio e questo va oltre la casistica della morale. Questo sentire di essere amati, potrebbe forse essere il riflesso dell’essere in comunione con Dio?
Sono cosciente che il discorso si fa pericoloso, ma bisogna farlo e coraggiosamente collegare grazia e sentire. Sembra un vicolo cieco ciò che viene affermato: la soluzione è la carità che è sempre intrecciata con l’amore fraterno. In realtà: «Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4,20).
Sul sentiero di Papa Francesco – Alvaro Grammatica