Don Manlio SodiApprofondimenti

Il lavoro: una festa?

«Ciò che rende lieta la vita non è fare le cose che ci piacciono, ma trovare piacere nelle cose che dobbiamo fare». L’affermazione di Wolfgang Goethe è sicuramente una provocazione non da poco, soprattutto se riletta in un tempo in cui la ricerca disperata di un lavoro si associa alla ricerca altrettanto disperata, da parte di imprenditori, di persone che vogliano lavorare con la dovuta competenza e dedizione.

La complessità del mondo lavorativo è dinanzi agli occhi di tutti. Ma in questo orizzonte in cui si muove l’intera società, e dove la festa del primo maggio richiama questo grande valore, è possibile trovare qualche linea che la pastorale sociale e del lavoro può offrire sempre in vista di un lavoro a misura di persona?

Nel 1981 Giovanni Paolo II scrisse una Lettera a «tutti gli uomini di buona volontà sul lavoro umano». Lui che da giovane aveva sperimentato il lavoro manuale, si rivolgeva all’umanità con queste iniziali parole: «L’uomo, mediante il lavoro, deve procurarsi il pane quotidiano e contribuire al continuo progresso delle scienze e della tecnica, e soprattutto all’incessante elevazione culturale e morale della società. E con la parola “lavoro” viene indicata ogni opera compiuta dall’uomo, indipendentemente dalle sue caratteristiche e dalle circostanze, cioè ogni attività umana che si può e si deve riconoscere come lavoro in mezzo a tutta la ricchezza delle azioni, delle quali l’uomo è capace ed alle quali è predisposto dalla stessa sua natura. Fatto a immagine e somiglianza di Dio stesso nell’universo visibile, e in esso costituito perché dominasse la terra, l’uomo è perciò sin dall’inizio chiamato al lavoro. Il lavoro è una delle caratteristiche che distinguono l’uomo dal resto delle creature; solo l’uomo ne è capace e solo l’uomo lo compie, riempiendo al tempo stesso con il lavoro la sua esistenza».

Già dalle parole iniziali è chiaro il percorso per una visione dell’attività umana in cui la persona è chiamata alla propria realizzazione. Ripercorrendo i passaggi fondamentali dei 27 paragrafi della Lettera, si coglie più in profondità il significato dell’insegnamento sociale della Chiesa lungo il tempo; una “parola” che si incentra sul fatto che il problema del lavoro costituisce la chiave della questione sociale.

Un veloce sguardo ai primi capitoli della Genesi sul tema del lavoro costituisce per il credente una luce che dà senso ad ogni iniziativa; per il non credente può offrire un richiamo per cogliere aspetti che con modalità e linguaggi differenti sanno donare un senso ad ogni attività che vada al di là del risultato immediato.

È comunque in questa linea che una visione completa di questa realtà considera l’uomo il vero soggetto del lavoro, e non l’oggetto! Scrive al riguardo Giovanni Paolo II: «L’uomo deve soggiogare la terra, la deve dominare, perché come immagine di Dio è una persona, cioè un essere soggettivo capace di agire in modo programmato e razionale, capace di decidere di sé e tendente a realizzare se stesso. Come persona, l’uomo è quindi soggetto del lavoro. Da qui la dignità della persona considerata nel cerchio dei valori che l’avvolge: la famiglia, la società, la nazione, il mondo intero.

E cosa pensare della «emigrazione per lavoro» – tema di stringente attualità -? Giovanni Paolo II tocca questa realtà affermando: «Questo è un fenomeno antico, ma che tuttavia si ripete di continuo ed ha, anche oggi, grandi dimensioni per le complicazioni della vita contemporanea. L’uomo ha il diritto di lasciare il proprio Paese d’origine per vari motivi – come anche di ritornarvi – e di cercare migliori condizioni di vita in un altro Paese. Questo fatto, certamente, non è privo di difficoltà di varia natura; prima di tutto, esso costituisce, in genere, una perdita per il Paese dal quale si emigra. Si allontana un uomo e insieme un

membro di una grande comunità, che è unita dalla storia, dalla tradizione, dalla cultura, per iniziare una vita in mezzo ad un’altra società, unita da un’altra cultura e molto spesso anche da un’altra lingua. Viene a mancare in tale caso un soggetto di lavoro, il quale con lo sforzo del proprio pensiero o delle proprie mani potrebbe contribuire all’aumento del bene comune nel proprio Paese; ed ecco, questo sforzo, questo contributo viene dato ad un’altra società, la quale, in un certo senso ne ha diritto minore che non la patria d’origine.

E tuttavia, anche se l’emigrazione è sotto certi aspetti un male, in determinate circostanze questo è un male necessario. Si deve far di tutto perché questo male in senso materiale non comporti maggiori danni in senso morale. In questo settore moltissimo dipende da una giusta legislazione, in particolare quando si tratta dei diritti dell’uomo del lavoro.

L’emigrazione per lavoro non può in nessun modo diventare un’occasione di sfruttamento finanziario o sociale. Per quanto riguarda il rapporto di lavoro col lavoratore immigrato, devono valere gli stessi criteri che valgono per ogni altro lavoratore in quella società. Il valore del lavoro deve essere misurato con lo stesso metro, e non con riguardo alla diversa nazionalità, religione o razza. Ancora una volta va ripetuto il fondamentale principio: la gerarchia dei valori, il senso profondo del lavoro stesso esigono che sia il capitale in funzione del lavoro, e non il lavoro in funzione del capitale».

C’è infine un aspetto da considerare: esiste una spiritualità del lavoro? Sì. Basti considerare l’affermazione: «Nella Parola della divina Rivelazione è iscritta molto profondamente questa verità fondamentale, che l’uomo, creato a immagine di Dio, mediante il suo lavoro partecipa all’opera del Creatore, e a misura delle proprie possibilità, continua a svilupparla e la completa, avanzando sempre più nella scoperta delle risorse e dei valori racchiusi in tutto quanto il creato. Questa verità noi troviamo già all’inizio stesso della Sacra Scrittura, nel Libro della Genesi, dove l’opera stessa della creazione è presentata nella forma di un lavoro compiuto da Dio durante i sei giorni, per riposare il settimo giorno. Il sudore e la fatica offrono al cristiano e ad ogni uomo, che è chiamato a seguire Cristo, la possibilità di partecipare all’opera che il Cristo è venuto a compiere. Sopportando la fatica del lavoro in unione con Cristo crocifisso, l’uomo collabora in qualche modo col Figlio di Dio alla redenzione dell’umanità nell’attività che è chiamato a compiere».

Sono parole che illuminano nel dare senso alle attività da compiere e che permettono di sintonizzarci con quanto affermava san Leonardo Murialdo: «Maledetto quel lavoro che produce ricchezza creando la miseria, che dà un’anima alla macchina togliendola all’uomo»! E allora “buona festa del lavoro” quando l’appuntamento annuale offre un prezioso richiamo ai valori propri di ogni attività umana nell’universo.