Commento al Vangelo, 9 luglio 2023 – Mt 11,25-30
A prima vista sembra che per Gesù essere sapienti e dotti non serva granché. Infatti a loro sono nascosti i misteri del Regno dei Cieli, mentre sono rivelati ai piccoli.
Sembra che sia inutile istruirsi.
In realtà Gesù vuole dire che ci si avvicina a Dio non con la conoscenza, ma con la fede.
Non significa eludere la ragione, ma andare oltre usando la fiducia. La vera conoscenza è quella del cuore che ci fa conoscere intimamente Dio, ce lo fa amare e ci fa dipendere da Lui.
In altre parole è dotto e sapiente chi sa dipendere da Dio, non chi conosce ogni cosa e sa decidere e programmare tutto da solo. Al contrario è lodato chi è piccolo e deve dipendere da altri, da Dio. La vera sapienza non è autosufficienza, ma dipendenza.
Chi è piccolo è nella posizione di ricevere, proprio perché mancante di forze. Il modello sono i pubblicani e i peccatori che non possono far altro che ricevere la misericordia di Dio come un dono e non come un premio o una conquista. Ed è questa caratteristica, quella di ricevere, che permette non solo di aver bisogno di Dio, ma di riconoscerLo e di accoglierLo. Sono proprio loro, i peccatori, a riconoscere in Gesù la visita di Dio. Da soli mai avrebbero potuto sperare in un cambio di vita. Solo accogliendo la presenza di Gesù hanno scoperto di essere amati e si è aperta la possibilità di una nuova esistenza. Per questo sono loro i piccoli, veri esempi di fede e di abbandono.
La vera sapienza, quindi, è riconoscere i propri limiti e aprirci all’aiuto che ci viene fuori da noi.
Questa è la condizione per ricevere la rivelazione di Dio, cioè di conoscere-sentire Dio accanto a noi. Infatti la conoscenza è sentirsi amato e sostenuto dall’amore del Padre.
È questo il vero giogo che ci ristora: accogliere e riconoscere che siamo piccoli, cioè poveri e bisognosi di essere amati, di essere salvati.
È diventare miti e umili di cuore: cioè dipendenti da altri.
Questo atteggiamento rende la nostra vita più dolce e leggera, liberandoci da affanni e disperazione e guarendoci da ogni illusione di farcela da soli.
Serve coraggio nel mostrarsi povero e bisognoso e chiedere aiuto, ma è la via per essere sollevati e per sentire che non si è soli e perduti, ma si è amati. È imparare a tendere la mano a Dio e al fratello per ricevere sostegno e per imparare la grammatica della gratitudine.
Gli stanchi e gli oppressi trovano ristoro nella misura che sanno chiedere aiuto, come ha fatto Gesù che in tutto si è affidato al Padre.
Accogliamo con gratitudine la nostra piccolezza chiedendo aiuto a Dio e al fratello. Allora ci sentiremo amati e salvati.
La vera sapienza si chiama umiltà, un’umiltà che si manifesta nel coraggio di tendere la mano; questa è la vera sapienza evangelica, la sapienza del cuore.