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Commento al Vangelo, 29 gennaio 2023 – Mt 5,1-12

Nell’Esortazione apostolica Gaudete et Esultate, papa Francesco si riferisce alle Beatitudini per spiegare in che cosa consista la santità: La parola “felice” o “beato” diventa sinonimo di “santo”, perché esprime che la persona fedele a Dio e che vive la sua Parola raggiunge, nel dono di sé, la vera beatitudine (GE 64). Santità è saper gioire. Beato è colui che sa essere felice.
Ciò significa che già in questa terra si può vivere la felicità, pur in mezzo a tribolazioni, dato che la santità non è solo un ideale da raggiungere, ma una realtà concreta, uno stile di vita attuabile, seppur in maniera imperfetta, già in questa terra. Questa è la testimonianza più significativa che possiamo dare al mondo di oggi: si è felici nella misura che si vive intensamente la propria vita.
Non serve scappare o rifugiarsi in mondi virtuali, ma basta vivere l’esistenza come un dono, ognuno secondo le sue capacità, secondo le sue possibilità concrete. Così continua il papa: Esse (le Beatitudini) sono come la carta d’identità del cristiano. Così, se qualcuno di noi si pone la domanda: “Come si fa per arrivare ad essere un buon cristiano?”, la risposta è semplice: è necessario fare, ognuno a suo modo, quello che dice Gesù nel discorso delle Beatitudini. In esse si delinea il volto del Maestro, che siamo chiamati a far trasparire nella quotidianità della nostra vita (GE 63).
Ecco che le Beatitudini non diventano un ideale irraggiungibile e scoraggiante, riservato ai più forti, ad una élite speciale di super cristiani, ma è una possibilità concreta di essere felici; è un incoraggiamento a non disperarsi, ma a fidarsi di Dio presente nel nostro quotidiano, da Lui amato e custodito. Le Beatitudini ci aprono alla speranza e alla certezza che non siamo abbandonati, perché al nostro fianco c’è il Signore, che già ci ricompensa donandoci di poter essere felici. Il male non ci schiaccia; nelle tribolazioni si può vivere la presenza del Signore.
Tutti possiamo vivere la gioia senza rimandare questa possibilità ad un domani quando, forse, le circostanze saranno migliori.
Di conseguenza è senza senso voler eliminare ogni dolore, ogni prova, ogni limite per inseguire una felicità illusoria senza difetti, come ci suggerisce una religione mondana, di chi crede che bisogna scappare da questo mondo, dalla quotidianità, dai propri limiti, per poter essere felici.
Ciò sarebbe disprezzare la vita reale, negare la stessa incarnazione di Gesù, quello che Giovanni dice essere lo spirito dell’anticristo (cfr. 1Gv 4,1-6) che non accoglie la presenza della salvezza nel nostro oggi concreto.
Diversamente, Gesù ama la nostra vita seppur piena di limiti e debolezze. Lui sa redimere ogni cosa e ogni persona perché il suo amore è più forte di ogni contrarietà.
Ecco quindi l’invito a vivere le Beatitudini per essere felici.
Concretamente si vive felici nella misura che si accogliere e si sa amare con dolcezza la vita concreta, limitata, propria e degli altri; quando si è capaci di gioire per la bontà di Dio e di far felici gli altri. In altre parole si è felici quando si ama il fratello e quando, attraverso il fratello, si ama Dio, un amore fatto di gesti concreti e quotidiani.
Felice colui che sa gioire della gioia degli altri, sull’esempio di Gesù, che da ricco che era, si è fatto povero per noi perché ricevessimo dalla Sua pienezza grazia su grazia (cfr. 2Cor 8,9; Gv1,16).
È felice chi sa gioire insieme al fratello che gli è accanto.