Commento al Vangelo, 2 ottobre 2022 – Lc 17,5-10
Per comprendere il brano del vangelo proposto dalla liturgia odierna, penso si debba partire dalla prima lettura del profeta Abdia.
Nella prima lettura è descritto tutto il dramma di fede di questo profeta.
Abdia vede il male che lo sovrasta e chiede aiuto a Dio, ma Dio non risponde; sembra che non ascolti e non salvi. Così infatti si esprime il profeta: Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: «Violenza!» e non salvi? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? (Ab 1,2-3a).
Inevitabilmente sorge lo scoraggiamento: Non ha più forza la legge, né mai si afferma il diritto. Il malvagio infatti raggira il giusto e il diritto ne esce stravolto (Ab 1,4).
Ma allora, vale la pena ancora credere? Vale la pena ancora chiedere aiuto a Dio?
Sono domande lecite che sorgono dal nostro cuore; è un dramma che tutti noi sperimentiamo.
Vorremmo un Dio che ascolti e risponda subito; un Dio che ci dia ragione ed esaudisca le nostre preghiere immediatamente e secondo le nostre aspettative. Siamo così presi dal male che subiamo da pensare che non esiste una soluzione se non quella che noi stessi indichiamo al Signore.
Se Dio non risponde subito e come noi vogliamo è forse perché non è potente o forse perché non vede bene la nostra situazione o forse perché non ci ama abbastanza?
Il problema, in verità, non è se Dio è compassionevole o meno, se è forte o meno, ma se noi ci fidiamo del suo giudizio. Noi giudichiamo l’amore di Dio e la sua compassione in base alla quantità del male presente, il Signore invece giudica in base al bene che ne deriva.
È difficile accogliere questo modo di fare, ma è l’unico che fa nascere la fiducia in Dio e ci mantiene uomini e donne che sanno dipendere da Lui, un dipendere che sa di fiducia e di amicizia e non di paura. E la fiducia fa nascere l’amicizia al punto che mi fido di Dio non più perché Dio, ma perché amico. Il frutto più bello del silenzio di Dio: l’amicizia con Lui.
Un percorso non facile!
Ecco che allora si comprende la richiesta dei discepoli fatta a Gesù: Accresci in noi la fede! (Lc 17,5). Siamo chiamati a ravvivare la fiducia per ravvivare l’amicizia con il Signore.
Come fare?
Astenersi dal giudizio e ringraziare il Signore per ogni cosa. In altre parole continuare il lavoro della vita servendo e vivendo senza pretese di un riposo immediato, di un cambio e di un premio. È la fiducia che il vangelo traduce in obbedienza, una obbedienza che sa di fiducia.
Questo è il tipo di fede richiesto, un granello di senapa che però cresce fino a diventare un albero, cioè uno stile di vita.
Il granello di senapa diviene quindi un ringraziare e un chiudere la bocca al giudizio fidandosi del tempo di Dio.
Questo non significa, che bisogna smettere di chiedere, ma aggrapparsi alla visione e al giudizio di Dio.
Siamo chiamati ad entrare in una relazione di amicizia con Dio, perseverando nella chiamata, e nella preghiera di gratitudine, senza giudicare l’agire di Dio perché lui lavora sempre in base ad un dono più grande che ci vuole dare.