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Commento al Vangelo, 16 luglio 2023 – Mt 13,1-23

Perché a loro parli con parabole?
È la domanda dei discepoli e credo anche la nostra di fronte a Gesù che dalla barca parla alla folla riunita sulla spiaggia raccontando parabole che sanno di storielle per bambini. Per noi è difficile da accogliere perché vorremmo capire.
In realtà Gesù ci introduce in un nuovo modo di conoscere: le cose di Dio si conoscono con il cuore. Ciò che interessa a Dio non è che noi capiamo tutto, ma che amiamo tutto. Non è il sapere che ci avvicina a Dio. Dio predilige il nostro sentire.
In questo modo si devono capire la parabole, non con la mente, ma con il cuore. È il cuore, di fatto, che deve essere toccato così che possa aderire al messaggio evangelico. Infatti, ciò che conta non è sapere di Dio, ma amare Dio, sentire di essere da Lui amati. E si ama con il cuore.
Non è la verità che cambia la vita, ma l’amore.
Ecco, forse, il significato più profondo del perché Gesù parla in parabole.
Le parabole trasmettono sentimenti, affetti, sogni; esse fanno sentire più che capire. È il linguaggio dei simboli, i quali più che contenuto, trasmettono affetto. Come una rosa che, pur rimanendo un semplice fiore, può trasmettere e rendere visibile l’affetto che uno prova per un’altra persona. È la priorità del sentire. Così agisce Dio con noi.
Ecco che la parabola del seminatore fa sorgere spontaneamente la gioia di andare incontro al seminatore che semina, di preparare un terreno adatto per accogliere il seme, ma soprattutto fa nascere la gratitudine perché siamo continuamente visitati da Dio.
Il seme viene seminato e germina fino a produrre frutto quando viene accolto da un terreno buono. E questo terreno buono è il nostro cuore capace di accogliere la presenza di Dio che cambia la vita.
Certamente ogni tipo di terreno descritto nella parabola si può facilmente interpretare con una nostra interiore disponibilità ad accogliere o meno la parola del Vangelo. Ma rimane aperta la domanda dove si possa trovare un cuore talmente libero che non sia distratto, incostante e non sia sedotto dalle preoccupazioni del mondo.
Pensando al seminatore è facile immaginare che sia lui stesso a prendersi cura non solo della semina, ma di rendere il terreno adatto al seme. Anzi ciò che colpisce ancora di più è che il seminatore non si ferma, continua a seminare perché ha fiducia di trovare un cuore capace di accogliere nonostante ci siano pietre e spine. Egli semina fino a trovare il terreno adatto.
Ecco che la parabola, in definitiva, descrive un Dio pieno di passione per noi, tenace e fiducioso.
Questo ci seduce e fa sorgere in noi la voglia e la gioia di andare incontro al seminatore custodendo il seme dentro di noi con una sequela sempre più forte e convinta, con la preghiera, la gratitudine e con una gioiosa fiducia perché siamo oggetto dell’amore di Dio.