Il Santo del Giorno

Santo del Giorno, 10 maggio – San Giobbe

Giobbe è un patriarca idumeo. É l’eroe del Libro di Giobbe, libro dei Ketuvim della Bibbia ebraica e classificato dai cristiani tra i libri sapienziali dell’Antico Testamento.

Giobbe rappresenta l’immagine del giusto la cui fede è messa alla prova da parte di Dio. I cattolici ne festeggiano la santità il 10 maggio.

Si descrive Giobbe come un uomo giusto, ricchissimo e felice, che viveva piamente la sua vita onorando Dio. Satana vuole convincere Dio che Giobbe finge di praticare la sua fede solo per conservare i suoi beni materiali con il beneplacito divino.

Allora Dio permette che Satana metta alla prova Giobbe. Ma egli, nonostante i mali che lo travagliano per le prove che Satana gli fa subire, sopporterà con rassegnazione la perdita dei suoi beni, dei suoi sette figli e tre figlie che moriranno nel crollo della casa di uno di loro e anche le sofferenze dovute alla malattia che lo ha colpito. Inoltre egli sopporta i rimproveri di tre suoi amici, senza bestemmiare una sola volta il suo Dio.

Dio gli spiegherà in seguito che non bisogna giudicare l’operato divino dal punto di vista umano. Infine lo ristabilirà in tutti i suoi averi raddoppiandoglieli e gli darà di nuovo sette figli e tre figlie.

Giobbe rappresenta la contraddizione tra il giusto che soffre senza colpa e il malvagio che invece prospera. Egli è la metafora di una ricerca della giustizia che dovrebbe colpire chi fa il male e assolvere e premiare chi fa il bene.

Presso gli ebrei vigeva la convinzione che il malvagio venisse giustamente punito con il dolore o la perdita di beni materiali, come effetto delle sue cattive azioni. Invece il buono, quando agiva bene, aveva subito in premio l’abbondanza e la fecondità.

Per gli ebrei, come per le popolazioni semitiche, l’amicizia dell’uomo giusto con Dio è portatrice di una ricompensa terrena. Il caso di un giusto colpito dalla sofferenza doveva essere ritenuto come un incidente limitato nel tempo. I problemi erano da superare con la prudenza, la pazienza, le virtù del saggio che avrebbero portato alla fine del dolore e al premio immediato.

Quando l’uomo ingiusto godeva e prosperava nonostante la sua malvagità, la morale ebraica sosteneva che la fortuna di questi sarebbe stata di breve durata. La giustizia divina sarebbe intervenuta condannando se non lui, la sua progenie secondo il principio che i figli pagano per le colpe dei padri.

Questo poteva accadere anche per il giusto che, forse inconsapevolmente, stava scontando l’effetto di azioni malvagie commesse dai propri padri. Ma Geremia (VII secolo a.C.), e soprattutto Ezechiele (VI secolo a.C.), avevano invece in modo chiaro detto, in anticipo su il Libro di Giobbe, probabilmente del V secolo a.C., che i figli non pagano per le colpe dei padri e i padri non pagano per le colpe dei figli, ma ognuno paga per sé. (Ezechiele 14,14-20)

Nel testo biblico di Giobbe si nota come il problema del male viene trattato con una totale assenza di preconcetti di carattere religioso che possono spiegare la convinzione di un giusto che paghi per le colpe di altri. La ricerca di Giobbe non si accontenta di spiegazioni superficiali o di quelle della teologia ufficiale. C’è, invece, la convinzione di poter capire Dio e il suo agire secondo principi razionali e teologici.

Questa spregiudicatezza è dovuta soprattutto alla cultura dello stesso autore. Infatti Giobbe, che nel testo risulta vivere in una zona tra l’Arabia e il paese di Edom, doveva essere in parte non appartenente al popolo d’Israele. Era probabilmente un ebreo-arabo rappresentante della cultura laica e in quanto scriba, la classe da cui il re prelevava i suoi funzionari, era in contrapposizione alla stessa cultura sacerdotale ebraica.

Giobbe, dipinto di fra’ Bartolomeo.
Firenze, Galleria dell’Accademia (Fonte: Wikipedia)

Nel libro di Giobbe, Satana contraddice e si contrappone a Dio che crede e sa che Giobbe è un uomo integerrimo. Sa che continuerà ad aver fede in lui anche se privato dei suoi averi, al punto che da ricco diverrà povero, o colpito nella sua stessa integrità fisica. Anzi Dio, che ha il potere su tutte le cose in quanto da lui create, addirittura metterà Giobbe nelle mani di Satana con l’unico obbligo di non ucciderlo.

Quindi Giobbe viene colpito senza sapere il perché delle sue sofferenze. Gli amici Elifaz, Bildad, e Zofar che lo vanno a trovare lo rimproverano perché ha accusato Dio. Essi cercano di spiegare il suo dolore affermando che la colpa è stata commessa dai suoi genitori, e Giobbe quindi sconta la pena per loro (Giobbe 2,11-13). Questo però significa ammettere che Dio è ingiusto, in quanto sta punendo un innocente.

Ma né gli amici né Giobbe riescono a risolvere il problema del giusto che soffre. Fino a quando, alla fine del libro, non appare Dio che mette sotto processo lo stesso Giobbe:«Quando io ponevo le fondamenta del mondo, tu dov’eri?»(Giobbe 38,4). Dio rivendica la sua onnipotenza rispetto alla miseria dell’umanità. L’uomo può trovare una risposta al dolore e al male solo decidendo di affidarsi a Lui

 

 

Fonte: Wikipedia