Commento al Vangelo, 2 febbraio 2025 – Lc 2,22-40
L’evangelista Luca descrive i primi passi della famiglia di Nazaret, che obbediente alla Legge, va al Tempio per presentare a Dio il bambino Gesù e poi torna a Nazaret.
Apparentemente nulla di strano, tutto è colorato di normalità. Non assistiamo a nessun prodigio, ma solo ad un dispiegamento della vita nella sua quotidianità.
A dire il vero, dopo la singolarità dell’avvenimento dell’annunciazione, ci si aspetterebbe qualche evento particolare, invece tutto avviene in una normalità che rasenta la banalità. Nulla di prodigioso se non per chi ha occhi per vedere.
Così quando vanno al Tempio non ci sono segni che indicano la presenza del Messia, ma solo le voci di due persone anziane in attesa di vedere il Messia: Simeone e la profetessa Anna.
Sembra che solo loro due abbiano riconosciuto il Messia, mentre tutto il resto è rimasto muto senza accorgersi di nulla. Così è stato pure alla nascita di Gesù dove solo alcuni pastori furono avvertiti dagli angeli, così pure al battesimo dove solo Giovanni Battista lo riconobbe e nella Sinagoga di Nazaret dove addirittura venne rifiutato. Solo alcuni ebbero il dono di vedere oltre nella normalità della vita.
Ecco un messaggio per la nostra vita: avere occhi per vedere la presenza di Dio nella quotidianità.
Lo stesso papa Francesco nell’Esortazione Gaudete et exultate parla della santità della porta accanto: Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro gli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto” di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità” (GE 7).
Forse è proprio questa la testimonianza di cui ha bisogno il mondo oggi, quella di saper gioire del presente, buono e meno buono che sia, perché vede la benedizione presente. È sempre presente la tentazione di volere dei segni forti e inequivocabili che rassicurino la nostra fede e posizioni; siamo così protesi ad aspettare miracoli che disprezziamo la normalità della vita, i gesti semplici e quotidiani. In realtà vorremmo che la vita fosse diversa da quello che è, vorremmo essere autosufficienti e non bisognosi di aiuto. È la tentazione del moderno gnosticismo e pelagianesimo, che si presentano come due falsificazioni della santità che ci inducono a non accogliere la realtà così com’è, la nostra povertà e la misericordia di Dio (cfr. GE 35). Vorremo, invece, una santità segnata da conoscenza e forza, non una santità semplice e normale dove ci si meraviglia della bellezza della vita di ogni giorno in mezzo alle nostre fragilità ed alla banalità degli eventi.
Giuseppe e Maria furono si meravigliarono delle parole dei pastori, di Simeone e della profetessa Anna; si meravigliarono che nella loro quotidianità ci fosse la presenza di Dio e si compissero le profezie.
Non disprezziamo il dono della vita, il dono degli affetti, il dono di una tavola che ci attende, il dono di un sorriso, il dono di una mano amica, il dono della carezza di una madre e di un padre. È l’invito a non fuggire dalla nostra quotidianità, ma a vivere ogni giorno come un dono: Dio non disdegna la nostra normalità, ma in essa si manifesta e ci benedice.
Apprezziamo e amiamo ciò che siamo, dove viviamo e con chi viviamo e allora proveremo meraviglia e stupore.












