Santo del Giorno, 4 settembre – Santa Rosalia
Rosalia de’ Sinibaldi, secondo la tradizione, appartenne alla nobile famiglia dei Sinibaldi del XII secolo. La Chiesa cattolica la venera come santa vergine.
Biografia
Rosalia de’ Sinibaldi (o di Sinibaldo) nasce nel Medioevo, nella prima metà del XII secolo, intorno al 1130. La tradizione narra che nel 1128, una figura apparve al signore normanno di Sicilia Ruggero II d’Altavilla. In quel momento egli osservava il tramonto dal Palazzo Reale con sua moglie, la contessa Elvira. Tale figura disse: «Ruggero, io ti annuncio che, per volere di Dio, nascerà nella casa di Sinibaldo, tuo congiunto, una rosa senza spine». Per questo motivo pare che, poco tempo dopo, quando nacque, la bambina venne chiamata Rosalia. Da un’etimologia popolare latina il nome Rosalia sarebbe composto da rosa e lilium, ovvero rosa e giglio.
Suo padre, il conte Sinibaldo de’ Sinibaldi, signore della Quisquina e del monte delle Rose, discendeva da Carlo Magno e dai Conti Marsi. Sua madre, Maria Guiscardi, era a sua volta di nobili origini e imparentata con la corte normanna. Da giovane Rosalia visse in ricchezza presso la corte di Ruggero II, ma anche presso la villa paterna, che doveva trovarsi nell’attuale quartiere dell’Olivella. Rosalia, educata a corte, per la sua bellezza e gentilezza nel 1149 divenne anche damigella d’onore della regina Sibilla, seconda moglie di Ruggero. Secondo un’altra tradizione, divenne damigella nel 1150 della principessa Margherita.
Un giorno il conte (o secondo altri principe) Baldovino (erroneamente identificato con Baldovino III di Gerusalemme) salvò il re Ruggero da un animale selvaggio, un leone secondo la leggenda, che lo stava attaccando. Il re allora volle ricambiarlo con un dono e Baldovino chiese in sposa Rosalia. Il giorno antecedente le nozze, Rosalia, mentre si specchiava, vide riflessa nello specchio l’effige di Gesù Cristo. La ragazza, il giorno seguente, si presentò alla corte con le bionde trecce tagliate declinando l’offerta e preferì abbracciare la fede, cui si era già dedicata da fanciulla. A quindici anni abbandonò quindi il Palazzo Reale, il ruolo di damigella e la casa paterna e si rifugiò presso il monastero basiliano del SS. Salvatore a Palermo. Ma ben presto anche quel luogo fu troppo stretto a causa delle continue visite dei genitori e del promesso sposo che cercavano di dissuaderla dal suo intento.

Dopo aver scritto una lettera in greco e aver lasciato una croce di legno e averli dati alle monache, decise quindi di trovare rifugio presso una grotta nei possedimenti del padre, che aveva visitato da fanciulla, presso Santo Stefano Quisquina. Lì, secondo la tradizione, visse per dodici anni. All’ingresso della grotta Rosalia scrisse un’epigrafe in latino prima di fuggire. Successivamente la regina Margherita di Navarra consente a Rosalia di tornare a Palermo, occupando un’altra grotta, la grotta di Monte Pellegrino. Lì, morì in pace e solitudine, dormendo.
Il culto
La storia ci dice che nel 1625 la Santa salvò Palermo dalla peste e ne divenne la patrona, esautorando, difatti, gli altri patroni della città. Mentre infuriava una terribile epidemia, arrivata in città il 7 maggio 1624 da una nave proveniente da Tunisi (antica “Barbaria”) presso l’antico altare dedicato alla Santa, accanto ad una grotta sul Montepellegrino, avviene un fatto straordinario. Viene, infatti, rivelato in visione a Girolama La Gattuta il luogo dove si trovavano i resti mortali di santa Rosalia. Questi, trovati il 15 luglio 1624, vengono portati nella camera del card. Giannettino Doria, Arcivescovo di Palermo.
In seguito, il 13 febbraio 1625, la Santa apparve a un povero ‘saponaro’, Vincenzo Bonelli (abitante dell’antico quartiere della “Panneria”), che viveva barattando mobili vecchi. Avendo perso la giovane consorte quindicenne a causa della peste nera, era salito sul Monte Pellegrino quella sera con l’intento di gettarsi giù dal precipizio prospiciente il mare (zona Addaura) e farla finita.
Al momento di mettere in atto il suo triste intento, gli apparve innanzi una splendida figura di giovane donna pellegrina, bella e di grande splendore. Ella lo dissuase dal suo proposito, portandolo giù con sé al fine di mostrargli la sua grotta. Infatti, lo condusse nei pressi dell’antica Chiesa di S. Rosolea, già allora esistente e dove la si venerava da antica data, nei pressi della famosa grotta che ella gli indicò come la sua “cella pellegrina”.
Scese con lui dalla cosiddetta “Valle del Porco” verso la città, esortandolo a pentirsi. Inoltre lo invitò a informare il Cardinale Giannettino Doria, Arcivescovo della città di Palermo, che non si facessero più “dispute e dubbi” sulle sue ossa. Chiese, infine, che venissero portate in processione per Palermo, poiché lei, Rosalia, aveva già ottenuto la certezza, dalla gloriosa Vergine Madre di Dio, che, al passaggio delle sue ossa e al momento preciso del canto del Te Deum Laudamus, la peste si sarebbe fermata.
Rosalia gli disse inoltre: “E per segno della verità, tu, in arrivare a Palermo, cascherai ammalato di questa infermità [la peste] e ne morrai, dopo aver riferito tutto ciò al Cardinale: da ciò egli trarrà fede a quanto gli riferirai”. Tutto questo il povero “saponaro” Bonelli lo raccontò al suo confessore, padre Don Pietro Lo Monaco, parroco della Chiesa monumentale di Sant’Ippolito Martire al Capo, che glielo fece riferire subito al Cardinale di Palermo. Questi – constatando che realmente il Bonelli si era improvvisamente ammalato di peste e ne stava di lì a breve morendo – gli diede credito. Il 9 giugno 1625 fece fare una processione con le reliquie ritrovate l’anno prima, liberando immediatamente durante la processione la città di Palermo dalla peste.

Il culto della Santa è tuttavia attestato da documenti a partire dal 1196, ed era diffuso già nel XIII secolo (antichissimo altare a lei dedicato nell’antica cattedrale gualtieriana). Tra i documenti citiamo il Codice di Costanza d’Altavilla depositato presso la Biblioteca Regionale di Palermo e l’antica tavola lignea del XIII secolo che la rappresenta in veste di monaca basiliana e oggi custodita presso il Museo Diocesano di Palermo. La si pregava inoltre con la frase “Sancta Rosalia ora pro nobis”. Le erano state costruite due chiese, o cappelle, a Palermo: una sul Monte Pellegrino, chiamata di “Chiesa di S. Rosolea”, l’altra nell’attuale quartiere dell’Olivella, dove sorgeva la casa del padre di Rosalia, Sinibaldo. Della suddetta casa oggi rimane solo l’antico pozzo, internato nel pavimento del cortile del seicentesco Oratorio di Santa Caterina d’Alessandria all’Olivella, che a sua volta sorge dove vi era l’antica chiesa di Rosalia.
Vi sono anche numerosissimi dipinti medievali che la raffigurano insieme ad altri santi oppure come soggetto unico. Vi è una statua marmorea di Antonello Gagini, una volta posta all’interno della Tribuna della Cattedrale, realizzata dallo stesso Antonello, e oggi denominata “Santa Caterina da Bologna”. E infine c’è una statuetta reliquiaria cinquecentesca di Scuola Gaginiana che la raffigura in abiti francescani che oggi si trova al Palazzo Abatellis. La Santa però non appartenne al suddetto ordine – successivo alla sua morte – ma bensì all’antico ordine che seguiva la Regola di San Basilio Magno, appunto basiliano.
Alcuni elementi sancirono il definitivo e popolare patrocinio di Palermo, ratificato a Roma sotto il pontificato di Papa Urbano VIII Barberini. Innanzitutto la memoria della Santa palermitana nel 1600 lasciava ancora qualche residuo nelle litanie. Altro elemento fu la riscoperta del suo corpo glorioso sul Monte Pellegrino incastonato in un involucro di roccia cristallina. E poi la successiva rivelazione al Card. Doria del racconto del povero Bonelli con la conseguente liberazione della città dall’epidemia.
Il culto è particolarmente vivo a Palermo. Qui ogni anno, il 14 e il 15 luglio, si ripete il tradizionale “Festino” che culmina nello spettacolo pirotecnico del 14 notte e nella processione in suo onore il 15. Il 4 settembre invece la tradizionale acchianata (“salita” in lingua siciliana) a Monte Pellegrino conduce i devoti al Santuario in circa un’ora di scalata a piedi. Nella città metropolitana di Palermo il culto è presente a Campofelice di Roccella, in quanto importato dal principe palermitano fondatore dell’abitato attuale nel 1699. Mentre in altri centri delle Madonie se ne trovano solo scarse tracce. A Bisacquino, feudo dell’arcivescovo di Monreale, il culto deriva da una reliquia della santa donata nel 1626 dall’Arcivescovo di Palermo.
In Sicilia il culto è attestato inoltre a Bivona e Santo Stefano Quisquina, dove secondo la tradizione la santa visse per dodici anni in eremitaggio. Nei pressi della grotta, successivamente, è stato costruito l’Eremo della Quisquina. A Bivona le prime notizie documentate della chiesa e della confraternita di Santa Rosalia risalgono al 1494. La santa era particolarmente invocata, insieme a San Rocco, contro la peste. Durante le epidemie del 1575 e del 1624 i bambini battezzati coi nomi dei due santi furono la quasi totalità dei nati, come risulta documentato nei registri di battesimo. È anche patrona di Racalmuto dove si costruì la sua prima chiesa, e dove si ipotizza anche la sua nascita.
Inoltre in Sicilia è venerata ad Alia (PA), Novara di Sicilia, Mazara del Vallo (TP), Capaci (PA) e quasi in tutta l’isola. Santa Rosalia è patrona anche di Santa Margherita Belice. Alessandro I Filangeri, signore di Santa Margherita, fece costruire la chiesa madre nella seconda metà del XVII secolo, dedicandola alla vergine Rosalia. Negli ultimi anni viene portato in processione, il 4 settembre, un busto della santa in argento con reliquiario, appartenente alla chiesa madre. Inoltre è Patrona di Lentiscosa (SA), Delia (CL), Gravina di Catania, Santa Croce Camerina (RG) e Rina frazione di Savoca (ME).
Un bassorilievo di Santa Rosalia si trova anche in Repubblica Ceca, a Praga, al nº 3 della centralissima Via Karlova (Casa Al Pozzo d’oro), in piena città vecchia, a poca distanza dal Ponte Carlo e dalla Staroměstské náměstí. Fu installata nella facciata del bel palazzo di un’antica famiglia, i coniugi Wesser i quali, colpiti dalla peste, espressero così la loro gratitudine alla Santa di Palermo, la cui fama era arrivata sin laggiù, per averne favorito la guarigione.
Fonte: Wikipedia











