Santo del Giorno, 27 giugno – San Cirillo di Alessandria
Cirillo di Alessandria fu un vescovo e teologo egiziano. Fu il quindicesimo Papa della Chiesa copta (massima carica del Patriarcato di Alessandria d’Egitto) dal 412 alla sua morte. La Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse lo venerano come santo.
Biografia
Nel 403 accompagnò lo zio Teofilo, vescovo di Alessandria, al concilio di Encina, presso Calcedonia. Alla morte dello zio, 15 ottobre 412, divenne vescovo di Alessandria, malgrado l’opposizione di molti che lo giudicavano violento e autoritario come lo zio. Infatti si mostrò tale contro i novaziani, gli ebrei (fece distruggere la colonia ebraica di Alessandria) e persino col governatore imperiale di Alessandria, Oreste.
Si oppose alle tesi cristologiche di Nestorio inviando una lettera pastorale a tutti i fedeli nel 429, una lettera enciclica ai monaci egiziani ed ebbe una corrispondenza con lo stesso Nestorio invitandolo invano a ritrattare le proprie tesi. Nestorio e Cirillo si appellarono a papa Celestino I, che convocò un concilio a Roma, in cui si decise per la condanna e la minaccia di deposizione di Nestorio se non avesse ritrattato entro dieci giorni le proprie teorie. Cirillo ebbe l’incarico di trasmettere a Nestorio la lettera di diffida del papa, alla quale aggiunse la formula di fede approvata nel 430 in un sinodo ad Alessandria e una lista di dodici anatemi. Di fronte al mancato accordo, l’imperatore Teodosio II (408-450) convocò nel 431 un concilio a Efeso che dopo varie e opposte decisioni, condannò Nestorio.
Relazioni con la morte di Ipazia
Dalle cronache di Socrate Scolastico (scrittore cristiano), risulta che nel 414 ci furono violenze contro i cristiani ad opera di ebrei, alle quali Cirillo reagì cacciando gli ebrei da Alessandria e trasformando in chiese le sinagoghe. Entrò inoltre in conflitto con il praefectus augustalis (prefetto della città), Oreste. Alcuni monaci accusavano Oreste di essere un sanguinario. Quindi lo assalirono ferendolo con il tiro di una pietra. Il colpevole venne torturato fino alla morte. Ma Cirillo gli tributò solenni onori funebri, attribuendogli il titolo di martire.
Nel marzo del 415 un gruppo di cristiani, guidati dal lettore Pietro, sorprese Ipazia (filosofa neo-platonica, matematica e astronoma pagana) mentre ritornava a casa. La tirò giù dalla lettiga, la trascinò nella chiesa costruita sul Cesareion e la uccise brutalmente. La scorticarono fino alle ossa (secondo altre fonti utilizzando ostrakois – letteralmente “gusci di ostriche”, ma il termine era usato anche per indicare tegole o cocci). Trascinarono poi i resti in un luogo detto Cinarion, dove furono bruciati.
Annota Socrate Scolastico: «Tale fatto comportò una non piccola ignominia sia a Cirillo sia alla Chiesa alessandrina. Infatti dalle istituzioni dei cristiani sono totalmente estranee le stragi e le lotte e tutte le cose di tal fatta.» (Socrate Scolastico Storia ecclesiastica Libro VII, cap. 15, PG 67 col 769)
L’inchiesta per l’uccisione di Ipazia si risolse con un nulla di fatto. Ma i temuti parabolani, chierici “barellieri”, che costituivano di fatto una sorta di milizia privata del vescovo, vennero posti sotto l’autorità del prefetto, in seguito ad una richiesta della comunità di Alessandria. La vicenda si concluse con l’ordinanza imperiale del 3 febbraio 418 con cui i parabolani vennero di nuovo affidati al vescovo di Alessandria, che all’epoca era ancora Cirillo.
La versione dei fatti di Socrate Scolastico è considerata una versione “cristiana moderata”, che si allineava al punto di vista dell’Impero bizantino. Invece, la versione “cristiana radicale” dei fatti è tramandata cento anni dopo dal vescovo Giovanni di Nikiu, che si allineava alle posizioni copte, favorevoli a Cirillo. Secondo Giovanni di Nikiu, Ipazia era da considerare una strega e la sua eliminazione era un titolo di merito per il vescovo Cirillo di Alessandria.
Sempre cent’anni dopo i fatti, il filosofo pagano Damascio, nella sua Vita di Isidoro, individua nell’invidia di Cirillo per l’autorevolezza di Ipazia la ragione del linciaggio, che sarebbe stato da lui stesso organizzato e ordinato.
Una versione pagana più “moderata” dell’omicidio di Ipazia è data da Esichio di Mileto.
La versione dei fatti che prende il sopravvento è quella del cristiano Giovanni Malalas. La sua “Cronografia” era vicina al clero di corte, ma soprattutto alla chiesa di Antiochia, abitualmente ostile a quella di Alessandria.

Opere
Le sue opere sono raccolte in dieci volumi della Patrologia Greca del Migne (PG 68-77). Sull’adorazione e il culto, 17 libri; Glaphyra, 13 libri; Commento al Vangelo di Giovanni, 12 libri di cui due perduti; Commenti a Isaia e ai dodici profeti minori. Contro gli ariani scrive il Thesaurus de sancta et consubstantiali Trinitate e il De sancta et consubstantiali Trinitate. Contro i nestoriani scrive Adversus Nestorii blasphemias contradictionum libri quinque, Apologeticus pro duodecim capitibus adversus orientales episcopos, Epístola ad Evoptium adversus impugnationem duodecim capitum a Theodoreto editam e la Explicatio duodecim capitum Ephesi pronuntiata. Si conservano poi tre lettere a Nestorio, delle quali la seconda e la terza furono approvate nel concilio di Efeso del 431, nel concilio di Calcedonia del 451 e dal Concilio di Costantinopoli II del 553; sua è la lettera indirizzata a Giovanni di Antiochia, detta Simbolo efesino, approvata nel concilio di Calcedonia.
Degli ultimi anni sono i dieci libri conservatisi della Pro sancta christianorum religione adversus libros athei Juliani, contro l’imperatore romano Giuliano (360-363).
Dottrina cristologica e il concilio di Efeso
I teologi di Antiochia, di scuola aristotelica, mettevano in risalto l’umanità di Cristo e l’unione delle sue due nature, rimaste integre in una sola persona. Cirillo, invece, alessandrino e perciò di scuola platonica, dà l’assoluta precedenza alla divinità di Cristo. Il Logos divino è l’unico vero centro di azione in Cristo. Cirillo non si riferisce mai a un soggetto umano o a un distinto principio operativo.
In Cristo vi è la perfetta unità del Verbo nella carne. L‘uomo è il Verbo, ma il Verbo in quanto unito a un corpo. Per cui in forza dell’unione si può predicare della divinità quanto è dell’umanità e viceversa. Ma le due nature rimangono distinte e non confuse. È un errore parlare di unione secondo sussistenza (enosis kat’ hypostasin) o unione secondo natura (enosis kata physin). Questo perché Cirillo, erroneamente, non pone distinzione tra i due termini. Il teologo alessandrino afferma che l’unione delle due nature è un’unione fisica (enosis physikee), non morale.
Per spiegare l’unione delle due nature nell’unica persona di Cristo, Cirillo rifiuta i termini di coabitazione, congiunzione o relazione. Non accetta nemmeno le parole avvicinamento e contatto (synapheia), come dicono gli antiocheni. Giudica insufficiente anche il termine unione (hénosis) perché potrebbe sottintendere che Cristo sia un uomo che porta Dio, un «teoforo» (theophoron anthropon). La sintesi della cristologia cirilliana è nella formula «un’unica natura del Dio Logos incarnata» (mia physis tou Theou logou sesarkomenee). Una teoria che Cirillo riteneva di Atanasio, ma che in realtà era ripresa dalla lettera di Apollinare a Crioviano.
Confutando Nestorio, si oppone all’espressione di «Maria madre di Cristo» (Christotokos). Sostiene invece quella di «Maria madre di Dio» (Theotokos). Perché equivale ad affermare che in Cristo vi è una sola persona, quella del Figlio di Dio. «Siccome la Vergine generò secondo la carne Dio unito personalmente alla carne, diciamo che ella è madre di Dio, non nel senso che la natura del Verbo prese dalla carne l’inizio della sua esistenza ma nel senso che, avendo il Verbo assunto personalmente la natura umana, accettò di essere generato dal suo seno secondo la carne».
Le due nature, divina e umana, sono in Cristo distinte (e non confuse in una sola persona divina). Per cui, possono predicarsi della persona divina di Cristo tutte le proprietà della natura umana. Si può dire anche che Dio nasce, patisce e muore. Se dunque si può dire che Dio nasce, allora Maria è madre di Dio.
Per dirimere la disputa teologica convocarono il concilio di Efeso (431), l’invito andò a tutti i vescovi di Oriente e di Occidente. Alla data fissata per il concilio non erano ancora giunti ad Efeso alcuni vescovi orientali, sia i legati del papa. Nonostante questo Cirillo premette affinché il concilio si aprisse ugualmente, contro la volontà del rappresentante imperiale.
Così lo storico del Cristianesimo Salvatore Pricoco sugli avvenimenti del Concilio di Efeso:
«Vi si sarebbero dovute confrontare e discutere le due tesi in contrapposizione, di Nestorio e di Cirillo, in realtà non ci fu nessuna discussione e non furono rispettate le più elementari garanzie di equità e collegialità. Cirillo presiedette e pilotò il concilio con grande abilità e non senza intimidazioni e corruzioni.
Alle porte della chiesa grande, intitolata a Maria, dove si svolgevano i lavori conciliari, e nella città stazionavano i parabalani, i quali ufficialmente erano infermieri al servizio dei poveri negli ospizi ecclesiastici, ma di fatto costituivano la guardia del vescovo alessandrino ed esercitavano una minaccia costante contro i suoi oppositori. Estromesso il legato imperiale e constatato che Nestorio si rifiutava di presentarsi, il giorno successivo all’apertura, il 22 giugno del 431, Cirillo lesse le proprie tesi e chiamò i vescovi, per appello nominale, a dichiararle consone al “credo” di Nicea; lesse le lettere sinodali concordate con Celestino per mostrare che Roma ed Alessandria erano solidali nell’azione contro Nestorio; di quest’ultimo fu letta la seconda e più polemica tra le risposte a Cirillo e alcuni estratti.
Alla fine della giornata Nestorio fu condannato e deposto, con un atto sottoscritto da 197 vescovi, per “aver profferito blasfemia contro il Signor nostro Gesù Cristo”. Il giorno dopo gli fu recapitata una notifica nella quale veniva apostrofato “nuovo Giuda”.»
In modo analogo, dopo aver ricordato l'”aggressiva durezza” di Cirillo nei confronti di ebrei e novaziani, il teologo domenicano Antonio Olmi chiosa la discutibile condotta del vescovo nella circostanza del Concilio:
«Con tali premesse, non c’è da meravigliarsi del modo in cui Cirillo fece valere il prestigio ed il potere di Alessandria nel corso della crisi nestoriana. Egli utilizzò mezzi di dubbia correttezza per ingraziare alla sua causa la corte imperiale; forzò le istruzioni ricevute dal papa Celestino, quando questi lo incaricò di curare l’esecuzione del sinodo romano del 430; non rispettò il mandato dell’imperatore, aprendo i lavori del concilio di Efeso senza attendere l’arrivo della delegazione papale e dei vescovi antiocheni; non cercò in alcun modo, nella sua posizione di presidente dell’assemblea sinodale, di porre le condizioni perché si arrivasse ad una discussione oggettiva, concreta e serena tra i rappresentanti delle due posizioni.» (Antonio Olmi. Il consenso cristologico tra le chiese calcedonesi e non calcedonesi. Roma, Pontificia Università Gregoriana, 2003, pag.87.)
Tuttavia il Concilio di Efeso è riconosciuto tra quelli ecumenici dalle Chiese conciliari. Infatti il Concilio di Costantinopoli II del 553 d.C. condannò la lettera che da una parte accusava il Concilio efesino di aver condannato Nestorio senza il dovuto esame e dall’altra definiva “contrari alla retta fede” i dodici capitoli di Cirillo difendendo così le posizioni di Teodoro e Nestorio.
Cirillo d’Alessandria ricevette quindi un decisivo riconoscimento riguardo alle sue dottrine da parte del Concilio di Costantinopoli II del 553 d.C., il quale decretò: «Cirillo che è tra i santi, il quale ha predicato la retta fede dei cristiani» (Anatematismo XIV, ENCHIRIDION SYMBOLORUM Denzinger et Schoenmetzer 437)
Questo fatto spiega come mai egli sia considerato santo dalle Chiese conciliari.
Fonte: Wikipedia