Il Santo del Giorno

Santo del Giorno, 26 maggio – San Filippo Neri

Filippo Romolo Neri è stato un presbitero italiano, venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Fiorentino d’origine, si trasferì, ancora molto giovane, a Roma. Qui decise di dedicarsi alla propria missione evangelica in una città corrotta e pericolosa, tanto da ricevere l’appellativo di «secondo apostolo di Roma».

Per il suo carattere burlone, fu anche chiamato il «santo della gioia» o il «giullare di Dio».

Alla sua vita e ai suoi detti sono ispirati State buoni se potete, film del 1983 di Luigi Magni, un omonimo album del cantautore Angelo Branduardi, colonna sonora di detto film, e uno sceneggiato televisivo del 2011 Preferisco il Paradiso, di Giacomo Campiotti e interpretato da Gigi Proietti.

Infanzia

Al secolo Filippo Romolo Neri, nacque come secondogenito di Francesco Neri e di Lucrezia da Mosciano. Il padre era notaio a Firenze ma, nel 1524, decise di intraprendere la strada dell’alchimia. I coniugi Neri ebbero, oltre a Filippo, altri tre figli. Ricordiamo Elisabetta, nata nel 1518, che ha testimoniato nel processo di canonizzazione per il fratello. Ricevette il battesimo nella chiesa di San Pier Gattolino con il nome di Filippo Romolo il giorno dopo la nascita, il 22 luglio del 1515.

Nel 1520 Filippo Neri perse la madre. Il padre decise così di risposarsi con Alessandra di Michele Lensi che, dopo essere entrata a far parte della famiglia Neri, si affezionò molto ai figli del marito. Filippo ricevette la prima istruzione in famiglia, in seguito venne mandato a studiare presso un certo maestro Clemente, e cominciò a frequentare il convento di San Marco evangelista a Firenze, un tempo sotto la direzione del frate domenicano Girolamo Savonarola.

Ritratto di San Filippo Neri (Fonte: Wikipedia)

Gli studi

Durante gli anni di studio presso il convento di San Marco, il giovane Filippo Neri si appassionò a due testi che avrebbero influenzato il suo successivo apostolato: le Laudi di Jacopone da Todi, che in seguito egli fece musicare, e le Facezie del Pievano Arlotto, un libro umoristico scritto da un sacerdote fiorentino. Tra le sue meditazioni quotidiane figura l’Autobiografia di santa Camilla da Varano, come mostra la copia conservata alla Biblioteca Vallicelliana con sue note autografe.

Visse a Firenze fino a 18 anni, quando fu inviato presso uno zio, tale Bartolomeo Romolo, a Cassino (allora chiamato San Germano) per essere avviato alla professione di commerciante. In quegli anni cominciò a sentire la propria vocazione religiosa. Costruì così una piccola cappella in una roccia a picco sul mare denominata “Montagna Spaccata” a Gaeta, dove si recava tutti i giorni per pregare in silenzio.

A Roma

Nel 1534 si recò a Roma come pellegrino ma vi rimase in qualità di precettore di Michele e Ippolito Caccia. Erano i figli del capo della Dogana, il fiorentino Galeotto, che forse gli fornì l’occupazione in nome della loro comune origine, offrendogli inoltre vitto e alloggio. I due bambini avrebbero seguito successivamente la strada religiosa. Uno divenne sacerdote diocesano in una località vicino a Firenze, l’altro monaco certosino.

Il suo compenso consisteva in un semplice sacco di grano. Grazie a un accordo con il fornaio, il grano diventava una pagnotta che Filippo Neri condiva con un po’ di olive e tanto digiuno. La stanza in cui viveva era piccolissima. Nello stesso tempo egli seguiva corsi di filosofia all’Università della Sapienza e presso i monaci di sant’Agostino.

Ben presto espresse nella preghiera le sue attitudini di mistico e contemplativo. Cominciò a prestare la sua opera di carità presso l’ospedale di San Giacomo. Qui molti anni dopo conobbe e strinse amicizia con Camillo de Lellis.

Secondo la tradizione nel 1544, e precisamente nel giorno della Pentecoste, in preghiera presso le catacombe di San Sebastiano, Filippo Neri fu preda di uno straordinario avvenimento. Secondo il santo si trattò di un’effusione di Spirito Santo che gli causò una dilatazione del cuore e delle costole. L’evento fu scientificamente attestato dai medici dopo la sua morte. Molti testimonieranno di aver visto spesso il cuore tremargli nel petto e che, a contatto con esso, si avvertiva uno strano calore.

In seguito a questa esperienza Filippo abbandonò la casa dei Caccia per ritirarsi a vivere come eremita fra le strade di Roma, dormendo sotto i portici delle chiese o in ripari di fortuna. Camminando per Campo de’ Fiori e nei vicoli di Trastevere incontrava giovani che lo deridevano e beffeggiavano. Ma egli, unendosi alla comitiva, la conquistava con la sua simpatia. Cominciava con una barzelletta e con qualche gioco, ma poi s’improvvisava predicatore, dicendo: «Fratelli, state allegri, ridete pure, scherzate finché volete, ma non fate peccato!».

Molti tentavano di farlo cadere ma la purezza di Filippo ebbe sempre la meglio. Una dovette affrontare una tentazione a casa della famosa Cesaria, nota più per la sua bellezza che per le sue virtù. Essa scommise con gli amici che sarebbe riuscita con le sue arti ammaliatrici a farlo capitolare. Fingendosi inferma lo invitò a casa sua per una confessione. Quando Filippo arrivò nella sua stanza la trovò vestita con un indumento così trasparente che niente lasciava alla fantasia.

Accorgendosi dell’inganno il santo si diede alla fuga e la donna, scoperta, si vendicò tirandogli dietro un pesante sgabello. Forse è per questa esperienza che Filippo dirà che « […] le tentazioni si vincono resistendo ad esse, ad eccezione di quelle carnali, dove è solo fuggendo che si hanno gloriose vittorie».

Nello stesso periodo, si occupò degli infermi, abbandonati a sé stessi o affidati a pochi volontari, negli ospedali di San Giovanni e Santo Spirito nonché dei poveri nella confraternita della Carità, istituita da papa Clemente VII e nell’oratorio del Divino Amore. Essendosi fatto sempre più intenso il suo apostolato nei confronti dei bisognosi, decise di fondare la cosiddetta Confraternita della Trinità, creata per accogliere e curare viandanti, pellegrini e povera gente dei borghi romani.

In particolare nell’Anno Santo del 1550, la Confraternita ricevette il soprannome di confraternita “dei pellegrini”, e poi in seguito anche “dei convalescenti” per il suo soccorso nei confronti degli infermi della città.

Dopo una lunga insistenza di Persiano Rosa, a trentacinque anni, decise di diventare sacerdote. Comincia così un nuovo capitolo nella vita di san Filippo Neri. Lasciò la casa Caccia per trasferirsi a San Girolamo della Carità.

Come sacerdote divenne famoso nell’esercizio del sacramento della confessione come fonte di dialogo con i “penitenti”. Secondo testimoni oculari Filippo Neri ascoltava il pentimento dei suoi fedeli dall’alba fino a mezzogiorno, ora in cui celebrava la messa. Inoltre non era raro trovare fedeli bisognosi anche in casa o perfino ai piedi del suo letto, dove egli ugualmente confessava in casi di necessità.

Ciò suscitò invidie e gelosie, in particolare in due monaci (dei quali s’ignorano i nomi) e nel medico Vincenzo Teccosi, i quali dimoravano nella stessa San Girolamo. Seguirono una serie di screzi e ingiurie. I primi due erano, ad esempio, soliti beffeggiare il sacerdote mentre si preparava per la messa. Oppure gli nascondevano i paramenti, perfino le scarpe, o facevano in modo che ne usasse di logori.

La cordialità, e soprattutto la pazienza di Filippo, finirono poi per conquistare i suoi tre avversari. Uno dei due monaci entrò perfino nell’oratorio mentre il Teccosi, prima di morire, lasciò tutto in eredità a quello che un tempo era il suo peggior nemico. Filippo non prese con sé che un ricordo (un orologio) cedendo tutto il resto ai nipoti del defunto.

Da questi dialoghi e da questi incontri nacque il primo nucleo della sua istituzione, l’Oratorio. Alcuni suoi discepoli divennero sacerdoti, cominciarono una vita in comunità e Filippo ne divenne rettore e ne stabilì le regole.

La Congregazione dell’Oratorio

L’11 ottobre 1559, Filippo Neri perse il padre, Francesco. Dopo aver ricevuto l’eredità che gli spettava, preferì cederla alla sorella Caterina. In quegli anni il santo conobbe un altro importante personaggio della storia ecclesiastica, il cardinale milanese Carlo Borromeo. Tra i due s’instaurò un saldo rapporto di amicizia, tanto che il cardinale si recava spesso dal sacerdote fiorentino per chiedergli consiglio riguardo a problematiche scottanti. Il santo milanese tentò in tutte le maniere di condurre Filippo Neri a Milano per fondarvi una comunità come quella costruita a Roma. Le sue richieste rimasero senza risposta.

Nel 1564, su pressioni delle comunità fiorentine, papa Pio IV (che sarebbe morto nello stesso anno) affidò a Filippo Neri il controllo della Chiesa di San Giovanni Battista de’ Fiorentini. Il santo, volendo rimanere a San Girolamo della Carità, la affidò ai giovani dell’Oratorio divenuti sacerdoti.

Nel 1575 il papa Gregorio XIII eresse la Congregazione dell’Oratorio e concesse a questa la chiesa di Santa Maria in Vallicella, che ne divenne la sede. Don Filippo, grazie al suo insegnamento promosse innumerevoli attività. Coinvolse nella preghiera e nella lettura della Bibbia uomini comuni, artisti, musicisti, uomini di scienza; fondò una scuola per l’educazione dei ragazzi.

In tempi nei quali la pedagogia era autoritaria e spesso manesca, Neri si rivolgeva ai suoi allievi (che erano, si direbbe oggi, “ragazzi di strada”) con pazienza e benevolenza. Ancora oggi si ricorda la sua esortazione in romanesco: «State bboni (se potete…)!». Un’altra sua celebre frase, un’imprecazione di impazienza poi attenuata dall’augurio della grazia del martirio: «Te possi morì ammazzato… ppe’ la fede!».

San Filippo Neri in un quadro di Guido Reni (Fonte: Wikipedia)

Gli ultimi anni

Gli anni che vanno dal 1581 al 1595, anno della morte, furono segnati da terribili malattie, guarigioni e ricadute continue. Preoccupato per il proprio destino scrisse per ben tre volte il proprio testamento. Alla comunità venne concessa intanto una nuova sede, l’Abbazia di San Giovanni in Venere e la possibilità di fondare un oratorio persino a Napoli. Fiaccato dalle malattie, Filippo Neri soffrì parecchio a causa di una terribile carestia che decimò alcuni membri della sua comunità oratoriana. Unico sollievo di quel periodo, nel 1590, il poter assistere, nella chiesa di Sant’Adriano al Foro, alla traslazione dei corpi di alcuni martiri. È da ricordare infatti che la testimonianza dei martiri era motivo di commozione per il santo fiorentino.

Seguendo i consigli di Filippo Neri, Clemente VIII decise di riconciliarsi con Enrico IV di Francia, evento di notevole portata nella storia della Chiesa cinquecentesca. Il pontefice, quasi per ringraziare il santo per il suo aiuto, prese con sé alcuni fra i suoi fedelissimi e decise di nominarlo cardinale. Ma questi rifiutò la carica, dicendo, verso il cielo: «Paradiso, paradiso». Nell’aprile del 1595 Filippo Neri venne colpito ancora più gravemente dalla malattia che lo affliggeva, tanto da non poter più modificare il proprio testamento.

Federico Borromeo, suo fedele amico, si recò a Roma per amministrargli personalmente l’eucaristia. Il santo, come lo stesso Borromeo dichiarò, benché moribondo dimostrava ancora una forza d’animo eccezionale. Il 23 maggio si riprese miracolosamente e poté officiare così la messa del Corpus Domini due giorni dopo, recitata “come cantando”. Dopo aver celebrato la messa, sembrò quasi ai suoi fedeli ch’egli fosse come guarito, poiché continuava a scherzare e consigliare come suo solito. Verso le tre del mattino di quella stessa notte, tra il 25 e il 26 maggio, lo colpì una grave emorragia. Dopo aver benedetto la propria comunità Filippo Neri morì, quasi sorridendo nel momento del trapasso.

 

 

 

Fonte: Wikipedia