Il Santo del Giorno

Santo del Giorno, 23 settembre – San Pio da Pietrelcina [1/2]

Padre Pio, al secolo Francesco Forgione, è stato un presbitero italiano, dell’Ordine dei frati minori cappuccini. La Chiesa cattolica lo venera come santo e ne celebra la memoria liturgica il 23 settembre, anniversario della morte.

È stato destinatario, ancora in vita, di una venerazione popolare di imponenti proporzioni, anche in seguito alla fama di taumaturgo attribuitagli dai devoti, così come è stato anche oggetto di aspre critiche in ambienti ecclesiastici e non.

Biografia

I primi anni (1887-1906)

Francesco Forgione nacque a Pietrelcina, un piccolo comune alle porte di Benevento, il 25 maggio 1887. I suoi genitori erano Grazio (detto “Orazio”) Maria Forgione (1860-1946) e Maria Giuseppa (detta “Peppa”) di Nunzio (1859-1929). Lo battezzarono il giorno successivo nella chiesa di Sant’Anna. Gli venne dato il nome Francesco per desiderio della madre, devota a san Francesco d’Assisi. L’allora arcivescovo di Benevento Donato Maria Dell’Olio gli diede la comunione e lo cresimò il 17 settembre 1899. La madre era una cattolica molto devota e le sue convinzioni ebbero una grande influenza sulla formazione religiosa del futuro frate. Il giovane non frequentò le scuole in maniera regolare perché doveva rendersi utile in famiglia lavorando la terra. Solo quando ebbe dodici anni cominciò a studiare sotto la guida del sacerdote Domenico Tizzani. Egli, in un biennio, gli fece svolgere tutto il programma delle elementari. Poi, passò alla scuola per gli studi ginnasiali.

La conoscenza di un frate del convento di Morcone, fra’ Camillo da Sant’Elia a Pianisi, che periodicamente passava per Pietrelcina a raccogliere offerte, gli sollecitò il desiderio di diventare sacerdote. Le pratiche per l’entrata in convento iniziarono nella primavera del 1902, quando Forgione aveva 14 anni, ma la sua prima domanda ebbe esito negativo. Solo nell’autunno del 1902 arrivò l’assenso. Forgione sostenne di aver avuto una visione, il 1º gennaio 1903 dopo la comunione, che gli avrebbe preannunciato una continua lotta con Satana. La notte del 5 gennaio, l’ultima che passava con la sua famiglia, dichiarò di aver avuto un’altra visione in cui Dio e Maria lo avrebbero incoraggiato assicurandogli la loro predilezione.

Il 22 gennaio dello stesso anno, a 15 anni, vestì i panni di probazione del novizio cappuccino e diventò “fra’ Pio”. Concluso l’anno del noviziato, fra Pio emise la professione dei voti semplici (povertà, castità e obbedienza) il 22 gennaio del 1904. Nell’ottobre 1905 raggiunse San Marco la Catola per lo studio della filosofia. Nell’aprile 1906 ritornò a Sant’Elia a Pianisi (CB) per gli studi ginnasiali. Si racconta che quell’anno la sangiovannese Lucia Fiorentino (1889-1934), mentre era assorta in preghiera, ebbe una “visione immaginaria” premonitrice dell’arrivo di padre Pio a S. Giovanni Rotondo.

Le stimmate (Fonte: Wikipedia)

La consacrazione e la comparsa delle stimmate “provvisorie” (1907-1916)

Negli anni 1907-1908, compiendo il percorso scolastico, fu nel Convento di Serracapriola. Qui fra’ Pio aveva compagni di studio i fraticelli di San Giovanni Rotondo, Clemente, Guglielmo e Leone e, da Roio, Anastasio che abitava la cella accanto a quella sua. I cinque erano allievi del Padre Lettore Agostino da San Marco in Lamis. Del fra’ Pio “serrano”, Padre Agostino scrisse: «Conobbi Padre Pio da frate il 1907, quando l’ebbi studente in Teologia a Serracapriola. Era buono, obbediente, studioso, sebbene malaticcio…». «Pel continuo pianto» che faceva meditando sulla Passione di Cristo fra Pio «ammalò negli occhi».

Quel suo pianto, a grosse lacrime e copioso, cessò nel Convento di Serracapriola. Il Venerdì Santo del 1908 (17 aprile) nel Convento serrano fra’ Pio, già sofferente di “male toracico”, fu ulteriormente colpito da una “emicrania”. Questo dolore continuò ad affliggerlo “per tutto il tempo” della permanenza a Serracapriola impedendogli, a volte, di partecipare alle lezioni scolastiche. Nel Convento di Serracapriola, oltre ai malesseri generali, fra’ Pio patì anche la calura estiva dell’anno 1908: «… qui si sta un po’ male», scriveva ai “carissimi genitori”, a «cagione del caldo che in questi mesi è un po’ eccessivo in questo paese. Non v’impensierite in quanto a ciò, perché sono miserie che l’uomo non può andarne esente…».

Quegli “infiniti affanni” fisici, causati “da una misteriosa malattia” che “galoppava” e l’inappetenza cronica del giovane, allarmarono i Cappuccini di Sant’Angelo. Comunicando telegraficamente con Salvatore Pannullo, parroco di Pietrelcina, i frati convocarono Grazio Forgione, genitore di fra’ Pio. Giunto a Serracapriola, egli trovò ospitalità nel Convento. Con il padre fra’ Pio andò al suo paese per una vacanza di salute consigliata dal medico che lo aveva visitato. Già prima dell’anno scolastico 1907/1908 fra’ Pio era stato per alcuni giorni nel Convento di Serracapriola. Vi arrivò in “gita di lavoro”, con altri confratelli, dal Convento molisano di Sant’Elia a Pianisi. E tutti insieme, con i frati serrani, vendemmiarono la vigna del Convento. Durante le operazioni di vendemmia, i fumi di alcool liberatisi dalle uve pigiate nella cantina conventuale, inebriarono fra’ Pio che a Bacco non aveva brindato.

Nel tempo, rinverdendo i particolari di questo episodio serrano, Padre Pio commentava: “Fu l’unica volta in vita mia che il vino mi fece perdere la testa” (cit. P. Luigi Ciannilli da Serracapriola). Ultimato il primo anno del Corso di Teologia a Serracapriola, fra’ Pio proseguì il suo “benessere morale e scientifico” nel Convento di Montefusco, nell’avellinese. Qui per i diversi insegnamenti erano Lettori i Padri: Agostino da San Marco in Lamis, Bernardino da San Giovanni Rotondo, Bonaventura da San Giovanni Rotondo e Luigi da Serracapriola.

Il 27 gennaio 1907 professò i voti solenni. Nel novembre del 1908, completati gli studi, si recò a Montefusco dove studiò teologia. Il 18 luglio del 1909 ricevette l’ordine del diaconato, nel noviziato di Morcone. Nei mesi di novembre e dicembre dello stesso anno, risiedette nel convento di Gesualdo (Av). Il 10 agosto 1910 fu ordinato sacerdote nel duomo di Benevento. Nonostante fosse ancora ventitreenne, il vescovo decise per un’eccezione alle disposizioni del diritto canonico che all’epoca prevedevano un’età minima per l’ordinazione di 24 anni.

In tale periodo gli agiografi collocano la comparsa sulle sue mani delle stimmate “provvisorie”. Fra’ Pio lo comunicò per la prima volta l’8 settembre 1911, in una lettera indirizzata al padre spirituale di San Marco in Lamis. Qui il frate racconta che il fenomeno andrebbe ripetendosi da quasi un anno, e che avrebbe taciuto perché vinto «sempre da quella maledetta vergogna». È stato fatto notare che, nella corrispondenza del frate degli anni 1911-1913, esiste un gruppo di undici lettere (indirizzate a padre Agostino da San Marco in Lamis e a padre Benedetto da San Marco in Lamis) in cui larghi tratti sono presi, senza citarli, dall’epistolario e da altri testi di Gemma Galgani, la prima santa stimmatizzata del XX secolo.

Il 7 dicembre 1911 fece ritorno a Pietrelcina per ragioni di salute. Vi restò, salvo qualche breve interruzione, sino al 17 febbraio 1916, abitando nella casa del fratello Michele. Il 10 ottobre dello stesso anno fra’ Pio rispose alle domande perentorie, rivoltegli da padre Agostino da San Marco in Lamis. Fra’ Pio affermò che avrebbe ricevuto le stimmate, «visibili, specie in una mano», e che, pregando il Signore, il fenomeno sarebbe scomparso, ma non il dolore che sarebbe rimasto «acutissimo». Sostenne inoltre che avrebbe subito quasi ogni settimana, da alcuni anni, la coronazione di spine e la flagellazione.

Prestò il servizio militare a Benevento dal 6 novembre 1915. Un mese dopo venne assegnato alla decima compagnia sanità di Napoli. Svolse il servizio con molte licenze per motivi di salute, sino a essere definitivamente riformato tre anni più tardi, a causa di una «broncoalveolite doppia», il 16 marzo 1918, dall’ospedale principale di Napoli.

Il pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo e le stimmate “definitive” (1916-1919)

Il 17 febbraio 1916 fra’ Pio giunse a Foggia, restandovi sette mesi circa e dimorando nel convento di Sant’Anna. La sera del 28 luglio, accompagnato da padre Paolino da Casacalenda, arrivò per la prima volta a San Giovanni Rotondo, nel convento di Santa Maria delle Grazie. Pur sentendosi meglio in tale luogo, dopo una settimana circa scese di nuovo a respirare l’aria afosa di Foggia, poiché il permesso chiesto al padre provinciale, anche se non necessario, tardava a venire. In ragione di ciò il 13 agosto Pio scrisse al provinciale, chiedendo di poter «passare un po’ di tempo a San Giovanni Rotondo» anche perché, a suo dire, Gesù gli avrebbe assicurato che là sarebbe stato meglio. Fra’ Pio venne infine lasciato in tale convento, con l’ufficio di direttore spirituale del seminario serafico.

Nell’agosto del 1918 fra’ Pio affermò di aver avuto delle visioni su di un personaggio che lo avrebbe trafitto con una lancia, lasciandogli una ferita costantemente aperta (transverberazione). Il 20 settembre, in seguito a un’ulteriore presunta visione, Pio affermò che avrebbe ricevuto le stimmate “permanenti”, cioè che stavolta non sarebbero andate più via – secondo parole che Gesù gli avrebbe rivolto – per i successivi cinquant’anni.

L’inizio del manifestarsi delle prime stimmate, le “provvisorie”, risalirebbe al 1910, quando per la sua malattia il religioso aveva avuto il permesso di lasciare il convento e di tornare nella sua casa natale a Pietrelcina. Non distante dal paese, tutti i giorni dopo aver celebrato la messa, si recava in una località detta Piana Romana. Qui il fratello Michele aveva costruito per lui una capanna e dove aveva la possibilità di pregare e meditare all’aria aperta, che giovava molto ai suoi polmoni malati. Il fenomeno delle stimmate, rivelò al suo confessore, cominciò a manifestarsi proprio in quel luogo, nel pomeriggio del 7 settembre 1910. E si manifestò con maggior intensità un anno dopo nel settembre 1911, quando il frate scrisse al suo direttore spirituale:

«In mezzo al palmo delle mani è apparso un po’ di rosso, grande quanto la forma di un centesimo, accompagnato da un forte e acuto dolore. Questo dolore è più sensibile alla mano sinistra. Anche sotto i piedi avverto un po’ di dolore.»

Nello stesso periodo cominciarono a circolare voci secondo le quali la sua persona aveva cominciato a emanare un inspiegabile profumo di fiori. Ma non era percepito da tutti allo stesso modo: «Chi diceva di sentire profumo di rose, chi di violette, di gelsomino, di incenso, di giglio, di lavanda ecc.». La voce della comparsa delle stimmate fece il giro del mondo, e San Giovanni Rotondo divenne meta di pellegrinaggio da parte di persone che speravano di ottenere grazie.

I pellegrini gli attribuirono il merito di alcune conversioni e guarigioni “inaspettate”, grazie alla sua intercessione presso Dio. La popolarità di Padre Pio e di San Giovanni Rotondo crebbe ancora grazie al passa-parola. La località dovette cominciare ad attrezzarsi per l’accoglienza di un numero di visitatori sempre maggiore. La situazione divenne imbarazzante per alcuni ambienti della Chiesa cattolica. La Santa Sede infatti non aveva notizie precise su cosa stesse realmente accadendo. Le scarne informazioni ricevute ben si prestavano ad alimentare il timore di una macchinazione, di fatto movente interessi economici, eventualmente perpetrata sfruttando il nome della Chiesa e la tonaca del povero ignaro frate.

Un primo inconcludente rapporto fu stilato dal Padre Generale dei cappuccini, il quale a sua volta aveva inviato Giorgio Festa. Questi ipotizzò una possibile origine soprannaturale del fenomeno, ma proprio il suo entusiasmo ne minò la credibilità. Si commissionarono perciò ulteriori indagini, molte delle quali (si dice) condotte in incognito.

Padre Pio (Fonte: Wikipedia)

Le indagini e la condanna del Sant’Uffizio (1919-1932)

Un gran numero di medici visitò Padre Pio per verificare che non si trattasse di un millantatore. Il primo a studiarne le ferite fu il professore Luigi Romanelli, primario dell’ospedale civile di Barletta, per ordine del padre superiore Provinciale, nei giorni 15 e 16 maggio 1919. Nella sua relazione fra le altre cose scrisse: «Le lesioni che presenta alle mani sono ricoperte da una membrana di colore rosso bruno, senza alcun punto sanguinante, niente edema e niente reazione infiammatoria nei tessuti circostanti. Ho la certezza che quelle ferite non sono superficiali perché, applicando il pollice nel palmo della mano e l’indice sul dorso e facendo pressione, si ha la percezione esatta del vuoto esistente».

Due mesi dopo, il 26 luglio, arrivò a San Giovanni Rotondo il professore Amico Bignami, ordinario di patologia medica all’Università di Roma. Le sue considerazioni mediche non si discostarono da quelle del prof. Romanelli, in più però affermò che secondo lui quelle “stimmate” erano cominciate come prodotti patologici (necrosi neurotonica multipla della cute) ed erano state completate, forse inconsciamente per un fenomeno di suggestione, o con un mezzo chimico, per esempio la tintura di iodio.

Nel 1920 padre Agostino Gemelli, medico, psicologo e consulente del Sant’Uffizio, fu incaricato dal cardinale Rafael Merry del Val di visitare Padre Pio ed eseguire “un esame clinico delle ferite”. Il Segretario del Sant’Uffizio, chiamato in causa per indagare l’attività del cappuccino, scelse il Gemelli, è dato supporre, sia per le sue conoscenze scientifiche, sia per i suoi studi specialistici sui “fenomeni mistici” che aveva condotti sin dal 1913. “Perciò – pur essendosi recato nel Gargano di propria iniziativa, senza che alcuna autorità ecclesiastica glielo avesse chiesto – Gemelli non esitò a fare della sua lettera privata al Sant’Uffizio una sorta di perizia ufficiosa su padre Pio”. Il Gemelli volle esprimersi compiutamente in merito e volle incontrare il frate.

Padre Pio mostrò nei confronti del nuovo investigatore un atteggiamento di chiusura. Rifiutò la visita chiedendo l’autorizzazione scritta del Sant’Uffizio. Furono vane le proteste di padre Gemelli che riteneva di avere il diritto di effettuare un esame medico delle stimmate. Il frate, sostenuto dai suoi superiori, condizionò l’esame a un permesso da richiedersi per via gerarchica, disconoscendo le credenziali di padre Agostino Gemelli. Questi abbandonò dunque il convento, irritato e offeso. Padre Gemelli espresse quindi la diagnosi:

«È un bluff… Padre Pio ha tutte le caratteristiche somatiche dell’isterico e dello psicopatico… Quindi, le ferite che ha sul corpo… Fasulle… Frutto di un’azione patologica morbosa… Un ammalato si procura le lesioni da sé… Si tratta di piaghe, con carattere distruttivo dei tessuti… tipico della patologia isterica»

e più brevemente lo chiamò “psicopatico, autolesionista ed imbroglione”. I suoi giudizi, che come si è visto non potevano contare sull’esame clinico rifiutatogli, avrebbero pesantemente condizionato, per l’autorevolezza della fonte, la vicenda del frate. Come risultato di queste vicende, il 31 maggio 1923, arrivò un decreto vero e proprio in cui si pronunciava la condanna esplicita. Il Sant’Uffizio dichiarava il non constat de supernaturalitate circa i fatti legati alla vita di padre Pio. Inoltre esortava i fedeli a non credere al frate e a non andare in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo. La formula specifica utilizzata, nel linguaggio ecclesiastico, equivale ad asserire che al momento non sono stati evidenziati elementi sufficienti ad affermare la soprannaturalità dei fenomeni, pur non escludendo che possano esserlo in futuro.

Il decreto venne pubblicato da L’Osservatore Romano, organo di stampa del Vaticano, il 5 luglio successivo e subito ripreso dai giornali di tutto il mondo. Il 15 dicembre del 1924, il dottor Giorgio Festa chiese alle autorità ecclesiastiche l’autorizzazione a sottoporre il Padre a un nuovo esame clinico per uno studio ulteriore e più aggiornato, ma non l’ottenne.

L’inchiesta sul frate si chiuse con l’arrivo del quinto decreto di condanna (23 maggio 1931) con l’invito ai fedeli a non considerare come sovrannaturali le manifestazioni certificate dal Gemelli. Ma i più fedeli sostenitori di Padre Pio non considerarono il divieto di Roma vincolante. A Padre Pio venne vietata la celebrazione della messa in pubblico e l’esercizio della confessione.

Lo storico Luzzatto sottolinea che il Sant’Uffizio dovette scontrarsi, a San Giovanni Rotondo, con il forte slancio devozionale di stampo «clerico-fascista» che, fin dal 1920, raggruppava «pie donne ed ex combattenti, illustri porporati e massoni convertiti, mansueti cristiani e feroci squadristi», spalleggiati peraltro da Giuseppe Caradonna, presidente del Consiglio Provinciale della Capitanata. Contribuì, inoltre, ad allentare le pressioni del Vaticano il torinese Emanuele Brunatto, che si industriò per dimostrare la corruzione di alti prelati che denigravano il frate.

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Fonte: Wikipedia