Il Santo del Giorno

Santo del Giorno, 19 settembre – San Gennaro

Gennaro è stato un vescovo e un martire cristiano. La Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa lo venerano come santo.

È il patrono principale di Napoli, nel cui duomo sono custodite le sue ossa. Qui si trovano anche due antichissime ampolle contenenti il presunto sangue del santo raccolto da una donna pia di nome Eusebia subito dopo il martirio. Queste ampolle si espongono alla venerazione dei fedeli tre volte l’anno: il sabato precedente la prima domenica di maggio, il 19 settembre ed il 16 dicembre. Sono giorni cari alla pietà partenopea in quanto in essi si può assistere al fenomeno della liquefazione, attestata per la prima volta nel 1389 come fatto già noto e considerato dalla pietà popolare un miracolo.

Nome

Il nome Gennaro è molto diffuso in Campania. Risale al latino Ianuarius che significava «consacrato al dio Giano» ed era in genere attribuito ai bambini nati a gennaio (Ianuarius), mese sacro al dio.

Storia

Nascita

Convenzionalmente si crede che san Gennaro sia nato il 21 aprile dell’anno 272. Le diverse passiones ianuariane tacciono sul luogo di nascita, e così pure il Martirologio romano. Tuttavia, essendo stato vescovo di Benevento, una tradizione antica e sempre tramandata dalla Chiesa beneventana, vuole che il martire sia nato appunto nella città sannita. Alcuni biografi, invece, attribuiscono le sue origini a Napoli, dove si manifestò il Prodigio delle sue reliquie. Altre fonti lo fanno nativo di Calafàtoni, un antico villaggio nei pressi di Caroniti, nel vibonese.

San Gennaro mostra le sue reliquie, copia da Caravaggio. Olio su tela (cm 126,5×92,5), Palmer Art Museum at Pennsylvania State University (Fonte: Wikipedia)

Vicende del santo

Il fatto che portò alla martirizzazione di Gennaro avvenne all’inizio del IV secolo, durante il periodo in cui l’imperatore Diocleziano perseguitò i cristiani.

San Gennaro era il vescovo di Benevento e si recò insieme al lettore Desiderio e al diacono Festo in visita ai fedeli a Pozzuoli. Il diacono di Miseno, Sossio, già amico di Gennaro, fu arrestato per ordine del persecutore Dragonzio, governatore della Campania, lungo la strada che percorreva per recarsi alla visita pastorale ed assistervi.

In seguito, Gennaro insieme a Festo e Desiderio si recò a visitare il prigioniero. Ma, avendo interceduto per la sua liberazione ed avendo fatto professione di fede cristiana, Dragonzio fece arrestare anch’essi. La condanna fu di essere sbranati dai leoni (o secondo alcuni dagli orsi) nell’anfiteatro di Pozzuoli.

Il giorno dopo, tuttavia, per l’assenza del governatore stesso, il supplizio fu sospeso. Secondo altre fonti, però, si accorse che il popolo dimostrava simpatia verso i condannati, e quindi evitò disordini.

Secondo la tradizione invece, il supplizio fu mutato per l’avvenimento di un miracolo. Le fiere si sarebbero inginocchiate al cospetto dei condannati, dopo una benedizione fatta da Gennaro. Dragonzio comandò allora che a Gennaro e ai suoi compagni troncassero la testa.

Condotti nei pressi del Forum Vulcani (l’attuale Solfatara di Pozzuoli), li decapitarono nell’anno 305. La stessa sorte toccò anche a Procolo, diacono della chiesa di Pozzuoli, e ai due laici Eutiche e Acuzio che osarono criticare la sentenza di morte dei quattro. Gli Atti affermano che nel luogo del supplizio sorse un santuario in ricordo del loro martirio. Mentre il corpo di Gennaro sarebbe stato sepolto nell’Agro Marciano e solo nel V secolo traslato dal duca-vescovo di Napoli Giovanni I nelle Catacombe di San Gennaro.

Negli Atti Vaticani si narrano molti altri episodi mitici. I più conosciuti narrano di Gennaro e dei suoi compagni che si recarono a Nola, dove incontrarono il perfido giudice Timoteo. Questi, avendo sorpreso Gennaro mentre faceva proselitismo, lo imprigionò e torturò. Poiché le tremende torture inflittegli non sortivano effetto, lo gettò infine in una fornace ardente. Una volta riaperta la fornace, non solo Gennaro vi uscì illeso e senza che neppure le sue vesti fossero state minimamente intaccate dal fuoco ma le fiamme investirono i pagani venuti ad assistere al supplizio.

Secondo la tradizione la fornace, tutt’ora esistente, sarebbe quella all’interno del complesso delle basiliche Paleocristiane di Cimitile. Caduto malato e nonostante fosse guarito da Gennaro, Timoteo non mostrò alcuna gratitudine ma lo fece condurre all’anfiteatro di Pozzuoli affinché le fiere lo sbranassero. Per questi racconti è chiara la derivazione dalla Bibbia, in modo particolare dal Libro del profeta Daniele, a cui il redattore degli Atti Vaticani deve essersi ispirato.

Durante il cammino verso il luogo dell’esecuzione, situato presso la Solfatara, un mendicante chiese a Gennaro un lembo della sua veste, da conservare come reliquia. Gennaro rispose che, una volta eseguita la sentenza, avrebbe potuto prendere il fazzoletto con cui sarebbe stato bendato.

La tradizione vuole che, mentre il carnefice si preparava a vibrare il colpo mortale, Gennaro si fosse portato un dito alla gola per sistemarsi il fazzoletto. In quell’istante il carnefice calò la scure, recidendo anche il dito. Quella notte, Gennaro apparve in sogno a colui che aveva l’incarico di portare via il corpo, invitandolo a raccogliere anche il dito.

Sempre secondo la tradizione, subito dopo la decapitazione sarebbe stato conservato del sangue, come era abitudine a quel tempo. Lo raccolse una pia donna di nome Eusebia che lo racchiuse in due ampolle. Esse sono divenute un attributo iconografico tipico di san Gennaro. Il racconto della pia donna è tuttavia recente, e compare pubblicato per la prima volta solo nel 1579. Lo si trova nel volume del canonico napoletano Paolo Regio su “Le vite de’ sette Santi Protettori di Napoli“.

I vari testi agiografici (inni, carmi e lodi) in onore di san Gennaro e dei suoi compagni martiri si possono consultare nella Bibliotheca Sanctorum edita dalla Pontificia Università Lateranense dal 1965.

San Gennaro esce illeso dalla fornace, di Jusepe de Ribera. Olio su rame, Napoli, reale cappella del Tesoro di san Gennaro (Fonte: Wikipedia)

La datazione

Gli Atti Bolognesi indicano il 305 come l’anno del martirio.

Documenti liturgici molto antichi, come il calendario cartaginese (redatto poco dopo il 505) ed il Martirologio Geronimiano del V secolo assegnano come data del martirio di Gennaro e dei suoi compagni il 19 settembre. Indicano invece nel 13 aprile la data della prima traslazione dei resti del santo. Anche in un altro martirologio risalente all’VIII secolo, redatto dal monaco inglese Beda, il 19 settembre viene indicato come data del martirio.

Nel calendario marmoreo di Napoli la data del 19 settembre si indica come “dies natalis” di San Gennaro che, nella tradizione cristiana, è il giorno della nascita alla vita eterna, ovvero della morte.

La venerazione per san Gennaro ha origini antichissime. Risalgono all’epoca del suo martirio o al più tardi a quella della prima traslazione delle sue spoglie, avvenuta nel V secolo.

Storia delle reliquie

Il vescovo di Napoli Giovanni I trasportò fra il 413 e il 431 le reliquie del santo dall’Agro Marciano nella parte inferiore delle catacombe napoletane di Capodimonte. Esse assunsero così il nome del santo, e qui esse furono centro di vivissimo culto.

Il principe longobardo di Benevento Sicone I, assediando la città di Napoli nell’831, ne approfittò per riportare i resti mortali, del santo, nella sua città natale, sede episcopale. Le sante reliquie furono deposte nella cattedrale – che allora si chiamava Santa Maria di Gerusalemme. Qui restarono fino al 1154. In quell’anno infatti, considerando che la città di Benevento non era più sicura, il normanno Guglielmo I il Malo provvide affinché esse venissero traslate nell’Abbazia di Montevergine.

A Montevergine però la devozione dei pellegrini che vi si recavano si rivolgeva soprattutto a san Guglielmo e alla popolarissima icona bizantina della Madonna chiamata “Mamma Schiavona”. Sicché di san Gennaro si perse ben presto la memoria e addirittura la cognizione del suo luogo di sepoltura. A Napoli invece il culto per san Gennaro rimaneva vivissimo, anche per la presenza delle altre sue reliquie: il capo e le ampolle con il suo sangue.

Carlo II d’Angiò fece eseguire dai maestri orafi francesi Stefano Godefroy, Guglielmo di Verdelay e Milet d’Auxerre un preziosissimo busto-reliquiario in argento dorato per contenere la testa e le ampolle con il sangue del santo. Egli espose per la prima volta la reliquia alla pubblica venerazione nel 1305. Suo figlio Roberto d’Angiò invece fece realizzare la teca d’argento che custodisce le due ampolle del sangue. Tuttavia la liquefazione del sangue non è attestata prima del 17 agosto 1389. In questa data il miracolo si compì durante una solenne processione intrapresa per una grave carestia.

Quando a Montevergine per merito del cardinale Giovanni di Aragona furono ritrovate le ossa di san Gennaro, collocate al di sotto dell’altare maggiore, la potente famiglia dei Carafa si impegnò affinché le reliquie tornassero a Napoli. Fu possibile grazie soprattutto all’interessamento del cardinale Oliviero e con il sostegno di suo fratello l’arcivescovo napoletano Alessandro Carafa. Il ritorno avvenne nel 1497, non senza l’opposizione dei monaci di Montevergine. Come degno luogo per ospitarle, il cardinale Oliviero Carafa ordinò di costruire nel Duomo di Napoli una cripta d’eccezione in puro stile rinascimentale: la Cappella del Succorpo.

A seguito di una terribile pestilenza che imperversò a Napoli fra il 1526 ed il 1529, i napoletani fecero voto a san Gennaro di edificargli una nuova cappella all’interno del Duomo. I lavori iniziarono solo nel 1608 e durarono quasi quarant’anni. La consacrazione della sfolgorante e ricca Cappella del Tesoro di San Gennaro avvenne infine nel 1646. Al di sopra del suo splendido cancello realizzato da Cosimo Fanzago, figura l’iscrizione Divo Ianuario e fame bello peste ac Vesaevi igne miri ope sanguinis erepta Neapolis civi patr. vindici (“A San Gennaro, al cittadino salvatore della patria, Napoli salvata dalla fame, dalla guerra, dalla peste e dal fuoco del Vesuvio, per virtù del suo sangue miracoloso, consacra”). Nel 1633 la città di Napoli, sulla cappella del tesoro, nel suo Duomo scolpiva la sua riconoscenza con la seguente dedica: Divo Jannuario – Patriae, regnique praesentissimo tutelari – grata Neapolis.

Il 25 febbraio 1964 il cardinale arcivescovo Alfonso Castaldo fece la ricognizione canonica delle venerate reliquie. “Le ossa furono trovate ben custodite, in un’olla di forma ovoidale che reca incisa l’iscrizione calligrafica, Corpus Sancti Jannuarii Ben. E.P.. Il professore G. Lambertini eseguì una ricognizione scientifica il 7 marzo 1965. Con essa stabilì che il personaggio a cui appartengono le ossa sarebbe un uomo di età giovane (35 anni) di statura molto alta (1,90 m).

 

Fonte: Wikipedia