Santo del Giorno, 13 novembre – San Niccolò I
Niccolò I, anche noto come san Niccolò Magno o papa Nicola I, fu papa della Chiesa cattolica dal 24 aprile 858 alla sua morte. Niccolò si ricorda come un consolidatore del potere e dell’autorità papale. Fu inoltre sostenitore del rafforzamento dell’universalismo romano. La Chiesa cattolica lo riconosce come santo.
Biografia
Niccolò apparteneva ad una nobile famiglia romana: era figlio di un funzionario della corte pontificia, Teodoro. La data di nascita non è sicura: alcuni propendono per l’800, altri per l’820, se non addirittura l’827. La giovinezza e la formazione del futuro papa si svolgono vicino al Palazzo del Laterano. Gli studi seguirono la tradizionale educazione impartita agli ecclesiastici: studio della Bibbia, della letteratura sacra e della lingua latina. Segnalatosi nel sinodo riunito per scomunicare il futuro antipapa Anastasio III nell’853, il diacono Niccolò si guadagnò la fiducia di papa Benedetto III.
L’elezione al Soglio pontificio
Quando papa Benedetto III morì, nell’aprile dell’858, il re d’Italia Ludovico II si trovava a Roma. Il sovrano, non volendo perdere l’occasione di influire sulla scelta del futuro papa, riuscì a far confluire i voti sul diacono Niccolò. Questi però al momento dell’elezione si trovava nella Basilica di San Pietro dove, ostentando un atto di modestia, si era rifugiato per evitare di essere eletto. Accettata con riluttanza l’alta carica, Niccolò ascese al soglio pontificio e la consacrazione avvenne il 24 aprile.
Non si può escludere, come sottolinea il Gregorovius, che tra il papa e l’imperatore intercorressero rapporti di amicizia personale. Dopo l’elezione Ludovico lasciò Roma con ampia soddisfazione, ma Niccolò lo raggiunse presto, con clero e nobiltà, e lo ricondusse a Roma. All’ingresso in città, l’imperatore, a piedi, condusse per le briglie il cavallo del papa. Egli «in questo atteggiamento superbo, di contra ad un imperatore che gli si umiliava dinanzi così profondamente, Nicolò I diede principio al suo pontificato».
Governo della Chiesa
Niccolò intervenne per regolare gli abusi di alcuni titolari di cattedre vescovili dell’Europa cristiana.
Già dall’850 l’arcivescovo Giovanni VII di Ravenna, forte di privilegi imperiali bizantini che gli consentivano la cosiddetta autocefalia, cioè l’autogoverno in materia ecclesiastica, aveva inasprito ancor più la politica autocefala. Giovanni VII cercò di rendersi completamente autonomo da Roma comportandosi da vero e proprio tiranno, con atti vessatori nei confronti delle diocesi suffraganee (Modena, Reggio, Parma e Piacenza). Impose loro pesanti tributi e vietò di comunicare direttamente con la Chiesa di Roma.
Niccolò chiuse la disputa quando, convocato invano a Roma l’arcivescovo, si recò a Ravenna. Qui, constatata la generale avversione del clero e del popolo per Giovanni, gli ingiunse di comparire nell’861 davanti a un sinodo che condannò il suo operato. Scomunicato, l’arcivescovo cercò un sostegno presso l’imperatore dei Romani, ma Ludovico II, dopo un timido tentativo d’intervento, immediatamente bloccato dal pontefice, pensò bene di non immischiarsi negli affari della Chiesa. Lasciò Giovanni nelle mani del papa, che finì per piegarlo al suo volere. Ci fu la revoca della scomunica e Giovanni si sottomise ad un’azione di controllo da parte di Roma su tutti i suoi atti.
Sempre nell’861 Niccolò annullò la sentenza di Incmaro, arcivescovo di Reims e metropolita di Francia, che aveva tolto al vescovo di Soissons, Rotado, la sua diocesi.
Relazioni con la Chiesa di Costantinopoli
Papa Nicolò fu uno dei più energici assertori dell’indipendenza del papato dall’autorità imperiale.
Nell’859-860 il pontefice ricevette la visita dell’ex patriarca di Costantinopoli, il monaco Ignazio. L’imperatore bizantino Michele III lo rimosse per una serie di gravi contrasti sorti tra i due, e lo sostituì con il laico Fozio, uomo di fiducia di Michele, il quale in brevissimo tempo poté scalare tutti i livelli della gerarchia ecclesiastica. La crisi si protrasse dall’860 all’867, anno della morte del pontefice.
Nell’861 il nuovo patriarca di Costantinopoli annunciò, per averne l’approvazione, la sua nomina a Niccolò I. Questi, nello stesso anno, inviò a Costantinopoli, per effettuare un’inchiesta, il vescovo di Anagni, Zaccaria, e quello di Porto, Rodoaldo. Oltre che chiarire la situazione, la missione aveva lo scopo di ribadire la supremazia di Roma sulla nomina di tutti i vescovi. L’imperatore Michele III e Fozio stesso però corruppero i legati papali. Le lettere che inviò il papa furono falsificate e un sinodo convocato di lì a poco nella chiesa dei Santi Apostoli (sinodo di Costantinopoli, 861) confermò la deposizione di Ignazio ed approvò la nomina di Fozio a patriarca. I legati papali, dunque, riconobbero Fozio.
Al fine di ristabilire la legittimità dei ruoli, Ignazio si appellò al papa. Ben presto Niccolò I capì che i suoi legati erano stati circuiti dai bizantini. Decise di inviare tre lettere a Costantinopoli (18 marzo 862). Nella prima, indirizzata a Fozio, ribadiva il primato della Sede di Pietro. Di conseguenza Fozio non aveva l’autorità per trattare questioni disciplinari. Il pontefice inoltre non accettava le argomentazioni con cui Fozio giustificava il suo rapido passaggio dallo stato laicale al patriarcato. Nella seconda missiva comunicava all’imperatore che Ignazio andava reintegrato finché l’intera questione non fosse stata trattata in sua presenza. Infine scrisse agli altri patriarchi orientali per rendere nota la posizione della Sede apostolica su Fozio.
Al di là del fatto che l’elezione di Fozio fosse effettivamente contraria alle norme del diritto canonico, il pontefice colse l’occasione per ribadire come solo a lui spettasse decidere tutte le questioni ecclesiastiche, sia in Occidente sia in Oriente.
Da Costantinopoli non giunse alcuna risposta. L’attesa si protrasse per un anno intero, dopo il quale Niccolò convocò a sua volta a Roma un sinodo (863), nel quale si dichiarò che:
- Il papa non riconosceva la deposizione di Ignazio;
- I due legati papali che si erano fatti corrompere venivano scomunicati;
- I decreti dell’assemblea erano nulli;
- Fozio sarebbe rimasto scomunicato fintanto che avesse insistito nell’usurpazione del seggio patriarcale.
Il pontefice dette disposizioni anche in materia liturgica e dottrinale. Stabilì:
- l’aggiunta del filioque al Credo bizantino, la cui nuova formulazione diventava «… lo Spirito Santo procede “dal Padre e dal Figlio”»;
- il celibato per i preti, cosa non prevista in precedenza nell’Impero bizantino;
- la proibizione per i preti di celebrare la Cresima;
- il digiuno per tutto il clero al sabato;
- l’inizio della Quaresima al Mercoledì delle Ceneri. Tutte queste disposizioni dovevano essere adottate anche dalla Chiesa di Costantinopoli (come era già avvenuto in Occidente).
Per quattro anni si ebbe un scambio di ambascerie secondo ritmi quasi stagionali. Infine Fozio, in risposta alla scomunica e con l’appoggio dell’Imperatore Michele III, nell’867 convocò un concilio a Costantinopoli. Alla conclusione di questo si lanciò la scomunica e la conseguente sentenza di deposizione nei confronti di Niccolò I, sancendo così la rottura con la Sede apostolica. Inoltre Fozio inviò un’enciclica a tutte le diocesi soggette al patriarcato di Costantinopoli. In essa rigettava tutte le disposizioni liturgiche e dottrinali imposte dalla Chiesa di Roma.
Ma di lì a poco la situazione si capovolse. Michele III fu assassinato e al suo posto salì al trono imperiale il suo carnefice, Basilio I il Macedone (867-886). Il nuovo basileus destituì tutti coloro che avevano ricevute alte cariche sotto il regno di Michele, compreso Fozio. Designò altri dignitari di sua fiducia, reintegrando Ignazio nella carica di patriarca.
Relazioni con i regni cristiani
La questione del divorzio di Lotario II
Lotario II di Lotaringia (fratello di Ludovico II) aveva ripudiato la legittima moglie Teutberga, da cui non aveva avuto figli. Voleva l’amante Waldrada, che invece gliene aveva dati ben tre. Per decidere sulla questione era stato convocato nell’863 un concilio, tenutosi a Metz, composto da vescovi favorevoli al re e da alcuni rappresentanti pontifici. Tra questi c’era quello stesso vescovo di Porto Rodoaldo che già si era fatto corrompere nella questione costantinopolitana del patriarca Fozio. I vescovi dovevano riaffermare la netta posizione di Roma contraria al divorzio. I legati del papa si fecero corrompere, le sue lettere furono fatte sparire e il sinodo ovviamente si pronunciò in favore dell’annullamento del matrimonio con Teutberga.
Le risultanze del concilio furono trasmesse a Roma tramite gli arcivescovi Guntero di Colonia e Teutgardo di Treviri. Niccolò si comportò in questa occasione con estrema determinazione e durezza. Fece fare tre settimane di “anticamera” ai prelati quindi, anziché riceverli, li convocò in un sinodo in Vaticano. Durante il sinodo, senza alcun dibattito o interrogatorio dichiarò il concilio di Metz deposto, i suoi messaggeri scomunicati e deposti e le sue decisioni nulle. Anche Waldrada fu scomunicata.
L’intransigenza del papa e la sua reazione suscitarono le ire di Ludovico II, immediatamente informato dell’accaduto. Egli partì alla volta di Roma portandosi al seguito un poderoso esercito e i due prelati scomunicati. Era l’863, e nel febbraio 864 Ludovico entrò in città, ma non riuscì, neanche con le minacce, a far cambiare idea al pontefice, che si rifiutò persino di riceverlo.
Di fronte ai continui dinieghi del papa e alle dimostrazioni antimperiali del popolo romano, che sfociarono anche in atti violenti, si ricorse alla mediazione dell’imperatrice Engelberga. L’imperatrice riuscì a far incontrare i due contendenti, ma Niccolò non recedette di un passo dalle sue posizioni. Ludovico dovette quindi abbandonare Roma senza aver ottenuto l’annullamento del matrimonio del fratello né il rientro delle scomuniche lanciate. La rilevanza dell’episodio, al di là della pretesa di un regnante di voler piegare le regole e i dogmi della Chiesa alle esigenze personali, risiede nel fatto che, come ha osservato Walter Ullmann, «per la prima volta il papato giudicò un re che si trovò inaspettatamente minacciato di scomunica».
La questione bulgara
Il giovanissimo Regno bulgaro era stato recentemente cristianizzato grazie all’opera di ferventi missionari di Costantinopoli. Ma alcuni contrasti con l’impero, le contese all’interno del patriarcato costantinopolitano e i sostanziali buoni rapporti con Ludovico II, spinsero re Boris a rivolgersi al papa. Gli chiese una serie di consigli su come educare i propri sudditi, appena usciti da un’epoca di paganesimo, a una vita civile e cristiana. Niccolò approfittò dell’occasione per attirare la Bulgaria nell’orbita romana e, per un breve periodo, ci riuscì. Fu essenziale l’impegno dei vescovi che il pontefice inviò in quella terra per battezzare ed educare. Essi erano Formoso di Porto e Paolo di Populonia.
Non meno rilevanti si rivelarono le indicazioni che Niccolò stesso fornì in risposta alle richieste di Boris, che costituirono una vera e propria costituzione in chiave evangelica. Ma nell’869-70 Ignazio di Costantinopoli convocò un concilio al quale partecipò un’ambasciata del re di Bulgaria. Infine, nell’870 il Regno bulgaro rientrò nell’orbita di Costantinopoli. Quell’anno, infatti, il patriarca Ignazio inviò nuovi sacerdoti e consacrò un nuovo vescovo in Bulgaria.
Morte e culto
Papa Niccolò I morì il 13 novembre dell’867 e fu sepolto in San Pietro. Per il suo eccezionale carisma religioso, gli si attribuì il titolo di “Magno”. Si attribuì tale titolo, oltre a lui, soltanto ai pontefici Leone I e Gregorio I.
La Chiesa cattolica lo venera come santo. Ne celebra la memoria liturgica il 13 novembre (data della morte) a partire dal 1883.
Fonte: Wikipedia