Il Santo del Giorno

Santo del Giorno, 10 novembre – San Leone Magno

Leone I, detto anche Leone Magno, è stato il 45º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica. La Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa lo venerano come santo. Il suo pontificato va dal 29 settembre 440 alla sua morte.

Il pontificato di Leone, come quello di Gregorio I, fu il più significativo e importante dell’antichità cristiana.

Biografia

Il diacono Leone

Secondo il Liber Pontificalis Leone nacque in Toscana, forse a Volterra in una data ignota. I primi documenti certi lo individuano come diacono della Chiesa romana sotto papa Celestino I e poi sotto papa Sisto III.

Verso la fine del pontificato di Sisto III, l’imperatore Valentiniano III inviò Leone in Gallia. Egli doveva ricomporre una disputa e far riconciliare Flavio Ezio, il comandante militare della provincia, e il prefetto del pretorio, Cecina Decio Aginazio Albino. L’incarico è un’evidente prova della grande fiducia riposta nell’intelligente e capace diacono dalla corte imperiale.

Alla morte di Sisto III (19 agosto 440), Leone si trovava ancora in Gallia. Il popolo e il clero lo acclamarono all’unanimità come suo successore. La consacrazione avvenne appena rientrato a Roma, il 29 settembre. Guidò la Chiesa romana per i successivi 21 anni e in questo periodo ne stabilì la centralità rispetto alle altre Chiese.

Francisco de Herrera el Mozo: San Leone Magno (papa Leone I), Museo del Prado , Madrid – Fonte: Wikipedia

Zelo per l’ortodossia

L’intento principale di Leone era quello di sostenere l’unità della Chiesa. Non molto dopo la sua elevazione alla cattedra di Pietro, si vide costretto a combattere energicamente le eresie che minacciavano seriamente l’ortodossia della chiesa, persino di quella occidentale. Settimo, vescovo di Altino, informò Leone di quanto stava accadendo ad Aquileia. Qui presbiteri, diaconi, e chierici che erano stati seguaci di Pelagio potevano avvicinarsi alla comunione senza un’abiura esplicita della loro posizione. Il Papa criticò aspramente questa prassi ed ordinò che si convocasse un sinodo provinciale ad Aquileia. Di fronte a tale consesso, tutti coloro che erano stati pelagiani dovevano abiurare pubblicamente le loro vecchie credenze e sottoscrivere una inequivocabile confessione di fede.

Leone intraprese una lotta ancora più grande contro il Manicheismo. I manichei fuggirono dall’Africa invasa dai Vandali, si stabilirono a Roma, e vi fondarono una comunità segreta. Il Papa ordinò ai fedeli di denunciarli ai presbiteri. Nel 443, insieme ai senatori ed ai presbiteri stessi, istruì di persona un’inchiesta, nel corso della quale esaminarono i capi di questa comunità. In molti dei suoi sermoni esortò, con grande enfasi, i cristiani di Roma affinché stessero in guardia contro questa che la Chiesa ortodossa considerava un’eresia. Inoltre li incaricò ripetutamente di dare informazioni sui seguaci, le loro abitazioni, i loro simpatizzanti, ed i loro appuntamenti.

In questo periodo, nella città di Roma ci fu la conversione con ammissione alla confessione di un certo numero di manichei. Coloro che si rifiutavano di abiurare, in ossequio agli editti imperiali, furono banditi. Il 19 giugno 445, l’imperatore Valentiniano III, probabilmente su insistenza del Papa, emise un editto in cui stabiliva sette punizioni per i manichei. Persino i vescovi orientali seguirono l’esempio del Papa.

In Tarragonense, invece, ancora fioriva il priscillianesimo, che per qualche tempo continuò ad attirare nuovi seguaci. Turibio, vescovo di Astorga, lo seppe e, nel corso di numerosi viaggi raccolse informazioni particolareggiate sulla condizione delle chiese e l’espansione del Priscillianesimo. Redasse una lista di quelli che considerava errori di questa posizione, ne scrisse una confutazione e spedì questi documenti a molti vescovi africani.

Ne inviò anche una copia al Papa, che gli rispose con una lunga lettera nella quale a sua volta confutava gli errori dei priscillianisti. Leone, nel frattempo, ordinò che si convocasse un concilio dei vescovi delle province limitrofe per istituire un’inchiesta avente il fine di determinare se qualche vescovo fosse caduto nell’eresia. Qualora se ne fossero trovati, essi dovevano essere scomunicati senza esitazione. Il Papa indirizzò una lettera simile anche ai vescovi delle altre province spagnole, notificando loro che stava per essere convocato un sinodo universale di tutti i principali pastori. Se questo non fosse stato possibile, avrebbero dovuto essere convocati almeno i vescovi di Galizia.

Leone e la disciplina

Nella concezione leonina dei doveri di pastore supremo, la conservazione della stretta disciplina ecclesiastica occupava una posizione preminente. Leone usò la massima energia nel mantenimento di questa disciplina, insistette sull’esatta osservanza dei precetti ecclesiastici e non esitò a rimproverare, quando necessario, i vescovi.

I vari vescovi dell’Impero d’Occidente ricevettero lettere (ep. XVII) relative a questa ed altre questioni. Un decreto disciplinare molto importante fu inviato anche al vescovo Rustico di Narbona (ep. CLXVII). A causa del dominio dei Vandali nel nord Africa latino, la posizione della Chiesa in quei territori divenne del tutto sconosciuta.

Leone vi inviò il presbitero romano Potenzio per informarsi sulla sua esatta condizione, ed inviare un rapporto a Roma. Alla sua ricezione, il papa inviò all’episcopato della provincia una lettera con istruzioni particolareggiate sulla soluzione di numerose questioni ecclesiastiche e disciplinari (ep. XII).

Leone spedì anche una lettera a Dioscoro di Alessandria (21 luglio 445), il successore di Cirillo al Patriarcato di Alessandria, insistendo che la pratica ecclesiastica della sua sede doveva seguire quella di Roma. Ciò poiché Marco, il discepolo di Pietro e fondatore della Chiesa alessandrina, non poteva avere altra tradizione che quella del “principe degli apostoli”. Lo esortò quindi alla severa osservanza dei canoni e della disciplina della Chiesa romana (ep. IX).

Ma fu soprattutto nelle sue prese di posizione sulla confusione cristologica che Leone si rivelò un saggio, colto, ed energico pastore della Chiesa. Dalla sua prima lettera sul Monofisismo fino alla sua ultima lettera indirizzata al nuovo Patriarca di Alessandria, si rileva l’approccio chiaro, positivo e sistematico con cui Leone superò questo difficile ostacolo.

Dopo la scomunica da parte di Flaviano, Patriarca di Costantinopoli, a causa delle sue concezioni e delle sue predicazioni monofisite, il monaco Eutiche si appellò al papa. Quest’ultimo, dopo aver esaminato il nocciolo della disputa, inviò una lettera dogmatica a Flaviano (ep. XXVIII, Tomus ad Flavianum). In essa espose concisamente e confermò la dottrina dell’Incarnazione e dell’unione della natura divina ed umana nella Persona unica di Cristo. Il monofisismo, infatti, assumendo una dottrina praticamente inversa all’arianesimo, tendeva a sottolineare con tanta forza la natura divina del Cristo, da giungere quasi a non riconoscere più quella umana.

Nel 449 si tenne sulla questione il concilio che in seguito Leone definì come il “Latrocinio”. L’imperatore d’Oriente Teodosio II era infatti favorevole ad Eutiche, e nel tentativo di riabilitarlo convocò ad Efeso un nuovo concilio. Durante quest’ultimo, tra le minacce e le ostilità dei vescovi influenzati dalla corte, i legati papali non riuscirono a riferire le posizioni di Leone e leggere le sue lettere. Eutiche fu assolto. Flaviano ed altri prelati orientali furono costretti alla fuga e si appellarono al Papa di Roma. Egli, rifiutandosi di avallare le decisioni del concilio di Efeso, scrisse all’imperatore Teodosio II ed all’imperatrice Pulcheria. Li esortò a convocare un nuovo concilio generale per restituire la pace alla Chiesa. Teodosio, di contro, sanzionò per legge le decisioni del concilio.

Nel febbraio del 450 l’imperatore d’Occidente Valentiniano III e sua madre Galla Placidia compirono un pellegrinaggio a Roma. Leone approfittò dell’occasione per supplicarli di intervenire presso Teodosio II al fine di convocare un nuovo concilio. Morto Teodosio nel luglio di quell’anno, il concilio si tenne a Calcedonia nel 451, sotto il nuovo imperatore Marciano. Il concilio accettò solennemente l’epistola dogmatica che Leone aveva inviato a Flaviano (morto nel frattempo in esilio) e che non era stata letta nell’occasione precedente, quale espressione della Fede cattolica sulla Persona di Cristo.

Furono abrogate le leggi che Valentiniano aveva promulgato sulle risultanze del concilio precedente, Eutiche fu esiliato e il papa confermò le delibere del nuovo Concilio. Leone, in seguito, inviò a Ravennio (ep. LXVII), per comunicarlo anche ai vescovi di Gallia, la sua lettera a Flaviano di Costantinopoli sull’Incarnazione. Ravennio, allora, convocò un sinodo nel quale si riunirono 44 vescovi. Nella loro lettera sinodale del 451, questi ultimi affermarono di accettare la lettera del papa quale simbolo di fede (ep. XXIX inter ep. Leonis). Nella sua risposta Leone parlò ancora della condanna di Nestorio (ep. CII).

Dopo aver eliminato il canone che elevava il Patriarcato di Costantinopoli al secondo posto dopo la Sede di Roma, diminuendo i privilegi degli antichi patriarchi Orientali, il 21 marzo 453 Leone pubblicò una lettera circolare che confermava la sua definizione dogmatica (ep. CXIV). Grazie alla mediazione di Giuliano, vescovo di Cos, che in quel tempo era l’ambasciatore papale a Costantinopoli, il papa tentò di proteggere ulteriormente gli interessi ecclesiastici ad Oriente. Giuliano persuase il nuovo Imperatore di Costantinopoli, Leone I, a rimuovere l’eretico ed irregolare patriarca, Timoteo Eluro dalla Sede di Alessandria.

Al suo posto fu scelto un nuovo patriarca ortodosso, Timoteo Salofaciolo, che ricevette le congratulazioni del papa nell’ultima lettera che Leone spedì ad Oriente.

Papa Leone Magno (Fonte: Wikipedia)

Gli affari italiani

Nel 452, su richiesta dell’imperatore, Leone fece parte dell’ambasceria composta dal console Gennadio Avieno e dal prefetto Trigezio. Si recarono in Italia settentrionale ad incontrare Attila nel tentativo di dissuaderlo dal procedere nella sua avanzata contro Roma. L’incontro avvenne nei pressi di Mantova, più precisamente a Roncoferraro. La delegazione romana ottenne la promessa di un ritiro dall’Italia e dell’avvio di negoziati di pace con l’imperatore.

Esistono due resoconti coevi agli avvenimenti: uno fu scritto da Prospero d’Aquitania (390 ca. – 463 ca.) e l’altro dal vescovo Idazio (Chronicon). Secondo Prospero, Attila si ritirò perché fu impressionato dalla figura di Leone, anche se Giordano fornisce altre motivazioni. Gli storici moderni ritengono sopravvalutato, per motivi agiografici, il ruolo svolto da Leone nella vicenda. Non si può comunque escludere che il papa sia riuscito a convincere Attila con il pagamento di un forte tributo. Mentre una tradizione vuole che il superstizioso re barbaro fosse in parte trattenuto nell’impresa dal timore della morte che aveva colto Alarico I, re dei Visigoti, subito dopo il sacco di Roma.

Quando, nel 455, i Vandali di Genserico invasero e depredarono per due settimane la città, ci fu l’intercessione di Leone. Egli ottenne la promessa che le vite degli abitanti sarebbero state risparmiate, come anche le tre maggiori basiliche (San Pietro, San Paolo e San Giovanni in Laterano). In esse si rifugò la popolazione durante i giorni del saccheggio. Questi avvenimenti dimostrano che l’alta autorità morale del papa si manifestava anche negli affari temporali. Leone fu sempre ben introdotto negli ambienti della corte imperiale d’Occidente, tanto che, in occasione della visita a Roma (450) dell’Imperatore Valentiniano III, accompagnato dalla moglie Licinia Eudossia e dalla madre Galla Placidia, la famiglia imperiale e tutto il suo seguito partecipò alle solenni celebrazioni liturgiche tenute in occasione della festa della Cathedra Petri (22 febbraio).

Leone era anche molto solerte nella costruzione e restaurazione di chiese. Ordinò la costruzione di una basilica sulla tomba di papa Cornelio sulla Via Appia. Ordinò la ricostruzione del tetto della basilica di San Paolo fuori le mura, distrutto da un fulmine, e grazie a lui iniziarono altre opere di miglioramento nella basilica stessa. Inoltre, persuase l’imperatrice Galla Placidia a mettere in opera il grande mosaico dell’Arco di Trionfo che si è conservato. Leone fece anche restaurare l’antica basilica di San Pietro in Vaticano, che costruì Costantino I. Durante il suo pontificato la ricca e pia aristocratica romana Demetriade eresse sulla sua proprietà, al III miglio della via Latina, una basilica in onore di santo Stefano. Sempre allo stesso periodo, ma soprattutto per volontà dell’imperatrice Eudossia, si eresse la basilica Eudossiana (ora basilica di San Pietro in Vincoli).

Leone non fu meno attivo nell’elevazione spirituale delle congregazioni romane. I suoi sermoni, dei quali sono conservati ben 96, sono straordinari per la loro profondità, chiarezza di dizione ed elevatezza di stile. I primi cinque manifestavano l’alta concezione della dignità del suo ufficio. Delle sue lettere, che sono di grande importanza per la storia della chiesa, se ne conservano 143, oltre ad altre 30 che gli furono inviate. Il cosiddetto Sacramentarium Leonianum è invece una raccolta di orazioni e prefazioni della messa, composto nella seconda metà del VI secolo.

Incontro di Leone Magno con Attila Raffaello (1513, Stanza di Eliodoro) – Fonte: Wikipedia

Morte e sepoltura

Leone morì il 10 novembre 461 e la sepoltura avvenne nel vestibolo di San Pietro sul Vaticano. Nel 688 papa Sergio I traslò il corpo all’interno della basilica, dove eressero sopra un altare. Si trattò, secondo il Gregorovius, del primo pontefice deposto all’interno della basilica. Attualmente i resti di Leone si trovano in San Pietro, sotto l’altare della cappella della Madonna della Colonna, a lui dedicato, dove ci fu la traslazione nel 1715.

Culto

Nel 1754 papa Benedetto XIV lo innalzò alla dignità di dottore della Chiesa (doctor ecclesiae). La Chiesa Cattolica Romana, nella Forma straordinaria, celebra la sua festa l’11 aprile. Nel rito di Paolo VI la memoria si celebra, invece, il 10 novembre. Le Chiese Ortodosse orientali lo commemorano il 18 febbraio.

Dal Martirologio Romano:

«10 novembre – Memoria di san Leone I, papa e dottore della Chiesa: nato in Toscana, fu dapprima a Roma solerte diacono e poi, elevato alla cattedra di Pietro, meritò a buon diritto l’appellativo di Magno sia per aver nutrito il gregge a lui affidato con la sua parola raffinata e saggia, sia per aver sostenuto strenuamente attraverso i suoi legati nel Concilio Ecumenico di Calcedonia la retta dottrina sull’incarnazione di Dio. Riposò nel Signore a Roma, dove in questo giorno fu deposto presso san Pietro.»

 

 

Fonte: Wikipedia