Il valore etico della geografia e della storia – Una nuova edizione del «De Asia» di Enea Silvio Piccolomini
Vi dedicò energie preziose al De Asia Enea Silvio Piccolomini, Papa Pio II. Il suo intento nasceva per dall’esigenza di offrire — come sottolinea Antonio Zanardi Landi, ambasciatore del Sovrano Militare Ordine di Malta presso la Santa Sede — un orizzonte in cui «la dimensione umanistica della Chiesa potesse costituire l’elemento di amalgama delle molteplici nazionalità e culture».
Tale dimensione umanistica viene sottolineata da Zanardi Landi nella prefazione alla nuova edizione del volume Enea Silvio Piccolomini – Papa Pio II. Asia (De Asia, 1461), curata dall’ambasciata dell’Ordine di Malta presso la Santa Sede (Roma, IF Press, 2024, pagine 269, euro 20, edizione e traduzione a cura di Manlio Sodi e Remigio Presenti). L’appendice è a firma di Francesco Dondoli.
«La lettura del De Asia — scrive nella presentazione Sodi, presidente emerito della Pontificia Accademia di Teologia — può costituire una fonte di ricerca per cogliere la puntualità delle cognizioni geografiche aggiornate al tempo in cui Pio II sta scrivendo.
Né sorprende la notizia che Cristoforo Colombo avesse con sé nel suo primo viaggio proprio il De Asia, testo che risulta da lui annotato e ora conservato nel Museo delle Indie a Siviglia». Il De Asia è l’ultima opera a carattere storico-geografico nella quale si impegnò Enea Silvio Piccolomini, Pio II dall’agosto del 1458. Nel luglio del 1461, temendo la calura estiva, il Pontefice era uscito da Roma per recarsi a Tivoli e, come narra nei suoi Commentari e nello stesso Asia , gli era venuto incontro Federico da Montefeltro. I due si misero a conversare e, dalla guerra di Troia, passarono a parlare dell’Asia Minore e dei suoi confini.
Scrive Pio II: «Perciò, in seguito, il Papa, quando ebbe un po’ d’agio (ozio), descrisse l’Asia attingendo a Tolomeo, Strabone, Plinio Q. Curzio, Giulio Solino, Pomponio Mela e ad altri antichi autori, prendendo da ciascuno tutte quelle notizie che gli sembrarono utili per la conoscenza di quelle terre». Una conversazione tra letterati, dal sapore squisitamente umanistico, avrebbe quindi fornito lo spunto al De Asia, opera scritta nelle libere ore di «ozio», inteso come tempo di sana e feconda operosità letteraria.
Rileva nell’introduzione Serge Stolf (Università di Grenoble) che le pagine del De Asia testimoniano di quella «curiosità» per gli uomini e per gli ambienti che si manifestò nel Piccolomini fin dagli anni giovanili. Nel suo epistolario ha lasciato descrizioni di città (come Genova, Basilea, Vienna) nelle quali mostra il suo gusto documentario per le strutture urbane, l’organizzazione sociale e politica, nonché per le peculiarità delle usanze e dei costumi.
A quel tempo l’Asia era, per molti aspetti, un continente sconosciuto e sognato. Non pochi erano stati i viaggiatori che si erano addentrati in quelle lontane contrade e ne avevano riportato delle relazioni, più o meno affidabili. Pio II non ne fa menzione.
Nemmeno il racconto di Marco Polo, principale fonte di informazione sull’Asia, viene citato. Possibile che non gli fosse mai capitato quel libro fra le mani? si chiede Stolf. Mostra invece di conoscere i resoconti, registrati da Poggio Bracciolini, del veneziano Niccolò de’Conti, che viaggiò fino in India e nell’Estremo Oriente, passando per Giava. Le descrizioni etnografiche, più di quelle fisiche, sono quelle su cui Pio II si sofferma con maggiore compiacimento. Il modello di Strabone (l’autore più citato) è da lui accolto con particolare favore. È un modello che promuove un’indagine volta ad analizzare gli aspetti più vari del mondo abitato e a valorizzare la dimensione culturale e storica dei diversi elementi presi in esame. Come nel De Europa, anche nel De Asia
Piccolomini manifesta — evidenzia Stolf — non «la vana curiosità dell’erudito immerso nella sterilità libresca, ma il senso, sempre estremamente vivo in lui, dell’umano vivere, nel significato pienamente umanistico della parola».
Nel proemio egli avverte che inserirà quello che gli «sembrerà necessario sulle caratteristiche delle singole genti e sui loro luoghi di permanenza»: una geografia, quindi, che rivela una connotazione spiccatamente umana, a conferma del suo fermo proposito di configurare «umanamente» quei territori, in parte ignoti, sui quali l’immaginario dei suoi lettori tendeva a proiettare fantasmagorie.
Gabriele Nicolò
L’Osservatore Romano