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Commento al Vangelo, domenica 29 novembre 2020 – Mc 13,33-37

Proponiamo di seguito il commento al Vangelo di oggi, 29 novembre 2020.

Con questa domenica inizia il periodo forte dell’Avvento in preparazione alla solennità del Natale.
A Natale si fa memoria della venuta di Gesù, della sua nascita a Betlemme; si fa memoria dell’amore di Dio che invia suo figlio per mostrarci il suo vero volto di padre e per liberarci dalla condanna della lontananza dal suo amore a causa del peccato. Una venuta fatta una volta per tutte nella carne, ma la cui efficacia rimane in eterno.
In questa ottica il brano del vangelo suggerisce un atteggiamento di attesa perché come è venuto nella carne, così Gesù ritornerà nella gloria. Ma questo ritorno avrà le stesse caratteristiche della nascita a Betlemme, una venuta per salvare, per portare la gioia, per offrire in dono la bontà di Dio. Non sarà una venuta per giudicare, ma per salvare perché Dio è fedele al suo amore per noi. Infatti, il vero giudizio di Dio è salvezza per tutti noi e per coloro che attendono il perdono e il dono della vita nuova (cfr. Rm 5,1.9; 8,1-4.14-17).
Ecco, quindi, il più profondo significato: attendiamo la sua salvezza e la nostra adozione. È sempre il racconto della nascita di Gesù (cfr. Lc 2,1-20) che ci offre la giusta interpretazione. La nascita di Gesù è accompagnata dal coro gioioso di angeli che annunciano la nascita del Salvatore, un Salvatore bambino, avvolto in fasce, bisognoso di essere accolto dai poveri pastori. Noi siamo questi pastori che, ad un certo punto, ricevono l’annuncio inaspettato di una gioia che sarà di tutto il popolo: Dio è venuto a visitarci, a stare con noi. Quindi, ecco la beatitudine, quella di non addormentarci, ma di stare svegli, pronti ad accogliere la sua visita. L’attesa significa che Dio non ci ha mai abbandonato.
Nel frattempo viviamo il tempo presente, con tutte le sue contraddizioni, come servi che attendono il ritorno del padrone, come servi svegli per riceverlo come hanno fatto i pastori.
Inizia quindi un tempo di gioiosa attesa.
Però in questa attesa c’è il rischio di perdere il giusto orientamento e di lasciarci ingannare dagli eventi dolorosi e bui come se il ritorno non dovesse realizzarsi oppure di lasciare entrare il dubbio che il ritorno sarà segnato da un giudizio esente da ogni misericordia.
Infatti il brano evangelico che ci viene presentato è messo in un contesto nel quale Gesù sembra stia parlando della fine del mondo, ma in realtà sta parlando della sua morte in croce. Al capitolo 14, subito dopo, si parla della morte di Gesù quando i discepoli lo avrebbero visto in croce. Dice la Scrittura che quando Gesù muore, tutto si oscura, non ci sono più stelle, luna, sole; si perde ogni orientamento. Significa che succederà una cosa che farà perdere tutte le sicurezze. Ma in quello stesso momento si vedrà anche il Figlio dell’uomo venire sulle nubi. Si vedrà la morte, ma guardando bene si vedrà l’inizio di una nuova creazione.
Ecco il tema principale del vangelo: l’attesa deve essere illuminata da una giusta visione. Ciò che fa la differenza non è avere o non avere problemi, dolore o non dolore, salute o malattia e perfino se pecchiamo o no, perché sempre peccheremo. La differenza la fa come noi vediamo il problema, la nostra situazione, il nostro peccato. Nel vangelo molti guardano Gesù in croce e se ne vanno sconsolati. Il centurione, invece, vede lo stesso Gesù in croce ma come il Figlio di Dio: “Davvero quest’uomo era il Figlio di Dio” (Mc 15,39).
Gesù ci sta insegnando una cosa molto semplice: ciò che fa la differenza non è ciò che sei o che hai. Ciò che fa la differenza è come vedi quello che sei e quello che hai. Se non riusciamo a vedere, giudicheremo sempre in base al presente, non vedremo mai che il Signore ci sta visitando e la sua venuta sarà temuta. Il segno di questo è che iniziamo ad accusare Dio, gli altri, noi stessi. Quando c’è lo spirito di accusa è perché non siamo capaci di vedere in mezzo a questo buio. Quando inizia a sorgere questo atteggiamento è il momento di cambiare modo di vedere. È il momento di vedere Dio che sta venendo come colui che ci salva.
Quando si vede il buio, non è l’inizio della fine ma l’inizio di poter ricominciare.
Quando è buio e si ha perso il punto di riferimento è il tempo di fermarsi e di purificare la nostra attesa; è tempo di ricordare le sue promesse, di invocare la sua venuta come ha fatto quando è venuto nella carne a Betlemme.

Ecco quindi la preghiera del profeta Isaia della prima lettura (cfr. 63,16-17.19; 64,2-7):
“Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore. Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità… Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani”.
In questo tempo manteniamoci svegli ricordando le benedizioni del Signore, la sua misericordia. Come i poveri pastori chiediamo che il Signore ci visiti con la sua gioia e la nostra vita venga avvolta dalla luce.
Semplicemente alziamo le nostre mani perché siano benedette in questo tempo di attesa, un tempo fatto di ascolto delle promesse e di invocazione, un tempo di preghiera.