Commento al Vangelo, 29 maggio 2022 – Luca 24, 46-53
Oggi la liturgia ricorda l’evento dell’Ascensione di Gesù al cielo.
Ciò che colpisce sono le parole di Gesù prima di salire al Padre.
Egli lascia ai suoi discepoli il compito di essere testimoni e nello stesso tempo comanda loro di rimanere in città finché non saranno rivestiti di potenza dall’alto.
Cosa significa essere testimoni? Significa essere annunciatori di fatti personalmente vissuti, non di idee imparate, anche se fermamente credute. Senza fatti ci sarebbe solo ideologia; senza fatti non c’è testimonianza, non c’è vera vita. Ecco il punto centrale dell’essere discepoli missionari: testimoniare fatti concreti della nostra vita.
Quali fatti? Essenzialmente due: perdono e conversione.
Perdono dei nostri peccati perché attraverso Gesù ci è stata offerta la comunione con Dio e non c’è più nessuna condanna su di noi. In altre parole ci siamo sentiti amati da Dio e ci siamo riscoperti figli di un Padre che mai ha smesso di prendersi cura di noi.
Conversione perché ora viviamo nella gioia e nella libertà, perché siamo oramai senza paura; la nostra vita appartiene a Dio e da lui custodita. La vita nuova è segnata dalla fiducia in Dio e dal desiderio di essere fratelli di tutti. A Dio abbiamo dato la nostra vita ferita e lui ci ha donato la sua. Ora viviamo la sua vita in noi. Conversione non è solo fare il bene, ma sentire il bene dentro di noi.
Senza questi due fatti non ci sono testimoni. I discepoli hanno vissuto e visto con i loro occhi che c’è una resurrezione, che dopo le sofferenze c’è sempre una possibilità di rinascita, che la vita può cambiare per dono di Dio. È lo stesso Gesù che ricorda loro che è risorto. Come a lui, ora anche a noi è dato di vivere questa resurrezione, di essere in pace con Dio e con i fratelli.
Tutti possono essere testimoni? No! Lo possono esser tutti quelli che hanno sperimentato perdono e conversione. Semmai a tutti è dato di diventarlo, ma sta a noi essere strumenti perché altri lo possano diventare attraverso la nostra testimonianza.
Perché rimanere in città? Certamente per ricevere il dono dello Spirito. Infatti i discepoli lo riceveranno nel Cenacolo il giorno di Pentecoste. È lo Spirito che rende le nostre parole vive e non solo un mero racconto; è lui che tocca il cuore di chi ci ascolta.
Ma perché si deve rimanere proprio in città per ricevere la potenza dall’alto?
Qui c’è un’indicazione particolare: lo Spirito non è una questione individuale, ma trova il suo luogo nella comunità, in una dimensione comunitaria. Lo Spirito crea la comunione e vive in essa. Questa comunione diventa segno visibile della comunione con Dio e del cambio di vita dove regna l’amicizia.











