Commento al Vangelo, 24 marzo 2024 – Mc 11,1-10
Oggi la liturgia ricorda l’entrata di Gesù a Gerusalemme e l’accoglienza festosa del popolo che
lo saluta come il Messia davidico. Gesù entra come re seduto su un puledro, come annunciato
dal profeta Zaccaria (cfr. Zc 9,9-10).
Fermandoci a questa connotazione, sembra che finalmente gli eventi si volgano a favore di Gesù
e che la Sua missione trovi un definitivo riscontro positivo. Ma le circostanze che seguiranno
mostreranno il contrario: Gesù verrà condannato a morte con il favore dello stesso popolo che
prima lo aveva acclamato come re.
In questa contraddizione sta il compimento della Sua missione, che però ha connotati diversi da
quello che il popolo si attendeva: Gesù non viene con potenza per vincere sui Suoi nemici, non
è un Messia politico; viene invece come Colui che dona la vita per dare speranza nella
resurrezione, per indicare che il Suo Regno non è di questo mondo. Viene per indicare che la
salvezza è un dono che appartiene solo a Dio, non alle nostre forze.
Nella tradizione biblica, il re veniva messo sull’asina ed entrava in Gerusalemme. Gesù ripete lo
stesso gesto, quindi entra a Gerusalemme come re per dare la vita per il popolo. Ma questo dare
la vita non è un perdere inteso come segno di sconfitta, ma è un preannuncio della benedizione
della resurrezione. In questo modo l’entrata di Gesù in Gerusalemme è profezia della
resurrezione che Lo attenderà a breve, indipendentemente dal favore o meno del popolo.
Entrando in Gerusalemme Gesù proclama che Lui vincerà sul male e che il Padre non lo lascerà
prigioniero della morte. È l’annuncio di speranza per tutti. Questa è la Sua regalità: la speranza!
Gesù entra a Gerusalemme come segno della volontà del Padre di non lasciarci in balia dei
nostri peccati, come segno della misericordia di Dio che rimane sempre e comunque, che è per
tutti e che vince anche la morte. La resurrezione è un dono e tale rimane per tutti perché è la
volontà del Padre.
Il popolo descritto nel Vangelo siamo noi, destinati a ricevere il dono della resurrezione e
chiamati a portare questo annuncio di speranza a tutti coloro che sono in attesa.
Simili ad un puledro, fragile, inesperto e non iniziato al lavoro, mancante in tante cose, proprio
come noi, portiamo Gesù, portiamo la speranza che il male non ha l’ultima parola, che Dio è
fedele e non ci abbandonerà.
Per essere segno di resurrezione, a Gesù serve un asino, che lo sa portare nonostante le proprie
povertà. Sono queste che fanno brillare la presenza di Gesù nella nostra vita, diventando così
fonte di speranza per tutti coloro che sono fragili e deboli. Infatti non testimoniamo la nostra
giustizia, ma la speranza che vive in noi nonostante le nostre infedeltà.
Facciamo come il puledro: accogliamo e portiamo Gesù e diventeremo profezia di resurrezione:
il male non ci spaventerà più.