Commento al Vangelo, 22 ottobre 2023 – Mt 22,15-21
Nel brano evangelico in questione viene espressa la classica tentazione che portiamo dentro, quella di tentare Dio.
Perché siamo portati a mettere alla prova il Signore?
È vero che l’origine di questo atteggiamento consiste nel dubbio che Dio ci ami così come siamo e nella quasi convinzione che sia in collera con noi dato che sappiamo bene come sia misero il nostro cuore. Siamo coscienti, quasi istintivamente, che qualcosa non va nella nostra vita, che non siamo innocenti, che i nostri sentimenti non sempre sono all’insegna dell’amore.
Siamo assillati dall’esigenza di una giustizia che ripari la nostra vita e ci permetta di stare alla presenza della propria coscienza e di Dio senza sentirci accusati. Il dubbio di essere accolti e amati nonostante le nostre ribellioni ci perseguita fino a diffidare della bontà di Dio. Per questo tentiamo Dio, per avere delle prove circa le Sue intenzioni verso di noi.
Tutto questo ci crea ansia e paura che cerchiamo di esorcizzare riempiendoci di opere per meritare e, in un certo senso, per comprare l’amore di Dio.
Quanto ci è difficile credere invece alla misericordia di Dio, alla Sua bontà che permane sempre nonostante tutto. Quanto è difficile fidarsi di Dio e saper vedere in ogni evento la Sua mano che ci guida ed un’opportunità per fidarci ancora di Lui ed invocare il Suo aiuto.
Interiormente, forse incoscientemente, vorremmo cogliere in fallo il Signore e potergli attribuire responsabilità di ciò che non va nella nostra vita e nel mondo intero e così evitare quell’unico atteggiamento che ci porterebbe la pace tanto anelata, quello di fidarsi di Lui e del Suo amore.
Se cogliessimo in errore il Signore allora saremmo giustificati nei nostri atteggiamenti, non dovremmo cambiare, potremmo mantenere le nostre riserve e non saremmo spinti a fidarci di Lui e consegnargli la nostra esistenza.
Ma una vita senza fede, non sarebbe tale. Non si può vivere in una continua tensione, in un continuo atteggiamento di controllo. Si vive nella misura che ci si fida di Dio. Senza fede non c’è vita che fiorisce, non c’è gioia, non c’è libertà, non c’è speranza. Ben dice il profeta Isaia:
Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza (Is 30,15). E la vera conversione è credere nella misericordia mettendo tutte le nostre preoccupazioni nelle mani del Signore perché Egli ha cura di noi (cfr. 1Pt 5,7).
Ecco che il vangelo ci invita a non avere paura di Dio: Lui sempre ci ama, sempre ci è fedele, e mai cambia verso di noi. Non serve mettere alla prova Dio, semmai mettiamoci noi alla prova confidando in Lui. Rassicuriamo, quindi, il nostro cuore e in ogni cosa rendiamo grazie.
Non facciamo come i farisei e gli erodiani ai quali non interessava la verità e cosa fosse lecito; essi cercavano solo una prova contro Gesù per non doversi convertire al Vangelo e alla fede in Gesù. La domanda se fosse lecito pagare il tributo a Cesare rivela infatti la loro intenzione: preferiscono una situazione di oppressione piuttosto che avere fiducia in Dio. Secondo loro era Dio che doveva cambiare il Suo modo di agire, non il contrario. In realtà avevano paura di fidarsi di Dio. E la paura blocca ogni conversione alla fiducia.
In definitiva il vero tributo da dare a Dio è la nostra fiducia e la nostra gratitudine per la sua misericordia che sempre ha verso di noi.