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Commento al Vangelo, 17 agosto 2025 – LC 12, 49-53

Per comprendere questo brano del Vangelo è bene metterlo nel giusto contesto e cioè la morte violenta che Gesù dovrà affrontare, che Lui identifica con il battesimo che dovrà ricevere: la morte in croce. Tutta la vita di Gesù infatti è protesa verso questo evento perché, come Lui stesso dice, non è possibile che un profeta muoia fuori da Gerusalemme (cfr. Lc 13,33). E la sua missione culmina proprio nei fatti pasquali dove offre la Sua vita: Ecco, io scaccio i demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno avrò finito (Lc 13,32). Pensare alla vita di Gesù slegata dalla Sua morte e resurrezione, sarebbe una contraddizione senza senso, verrebbe a mancare il suo proprio significato salvifico.
In questa ottica si comprende l’affermazione che Gesù è venuto a portare la divisione sulla terra.
Non si tratta di una divisione di carattere morale, che nasce da cattive intenzioni, ma di una divisione che implica una scelta di appartenenza. L’immagine che può spiegare questa appartenenza, che di per sé implica mettersi in contrasto con altri, è la crocifissione dei due malfattori accanto a Gesù. Uno si rivolge a Gesù chiedendo misericordia, l’altro, al contrario, lo accusa di inerzia, unitamente alle derisioni dei capi e dei soldati che chiedono che scenda dalla croce come segno della Sua messianicità (cfr. Lc 23,35-43).
La divisione qui accennata è scegliere con quale atteggiamento mettersi davanti alla vita, se con fiducia nella bontà di Dio e nel Suo piano o con pretesa che tutto si compia secondo le nostre aspettative e desideri. È scegliere una forma di fede: una fede che confida o una fede che pretende. Ed il confine tra questi due tipi di fede non è sempre facile e visibile. Quante volte vorremmo che tutto si svolgesse senza troppe prove e difficoltà, magari chiamando Dio come testimone di fronte alle ingiustizie e come vendicatore per i torti subiti. È un atteggiamento normale che però può trasformarsi in pretesa quando ci rifiutiamo di accogliere che il piano di Dio può essere diverso. Il battesimo che dobbiamo ricevere non è solo il battesimo di acqua, accompagnato da piacevoli e consolanti manifestazioni, ma a volte è un battesimo di fuoco che ci spinge a terminare con le diverse pretese e ad affidarci a Dio, che mai abbandona, anche se spesso ci rimangono nascoste le ragioni delle prove.
In definitiva si sceglie di fidarci di Dio. Questa è la radice della divisione a cui accenna Gesù. E questa è la testimonianza che siamo chiamati a dare. Non è essere contro qualcuno, ciò non sarebbe nello spirito del Vangelo; è invece testimoniare la bontà di Dio che non viene mai meno alla Sua fedeltà e alla quale ci affidiamo senza riserve, anche a costo di sembrare di perdere. È scegliere di continuare a credere a Dio, senza se e senza ma. Questo non è facile, ma è proprio il battesimo che è per tutti noi in quanto discepoli. È il battesimo della sequela, cioè l’essere immersi pienamente nella missione di essere testimoni dell’amore di Dio sempre e comunque.
Siamo chiamati a diventare segni di contraddizione, segni visibili che indicano il cammino della resurrezione, non contro qualcuno. Si diventa convincenti quando si è segno di resurrezione, passando attraverso la croce delle prove con una fede fiduciale, senza pretese.