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Commento al Vangelo, 12 gennaio 2025 – Lc 3,15-16.21-22

Oggi si celebra il battesimo di Gesù ad opera di Giovanni Battista. Un evento che segna l’inizio della vita pubblica di Gesù e che dischiude alcuni significati per la nostra vita.
Nella prima lettura (Is 40,1-5.9-11), il profeta Isaia invita a consolare il popolo di Israele per il suo rientro nella terra di Israele: è finito l’esilio e la colpa è stata scontata. Inizia un tempo nuovo. È un annuncio di gioia perché viene il Signore come un pastore che raduna il suo gregge, porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri. Il profeta è invitato a salire su un alto monte a gridare queste liete notizie, senza paura. Questo era il messaggio che il popolo aveva bisogno di udire, oramai assopito del lungo tempo di esilio.
Queste indicazioni veterotestamentarie si applicano benissimo alla missione di Giovani Battista; anche lui è chiamato ad annunciare la ne dell’attesa e l’arrivo del Messia che battezza in Spirito Santo e fuoco. In questa luce si comprende la gura di Giovanni Battista: è lui la voce che grida la gioia, colui che vede il buon pastore, è lui il testimone della visita di Dio che inaugura il tempo della misericordia.
Preparare la strada come indicato da Giovanni Battista non è altro che prepararci ad accogliere il modo di agire di Dio che ama gli uomini. Ecco il senso della voce dal cielo: Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento. In queste parole è racchiuso infatti il messaggio centrale e originale dell’annuncio evangelico: siamo gli amati. E tutti lo sono per dono. Questo è lo stesso messaggio di cui abbiamo bisogno anche oggi, di cui ha bisogno ogni uomo di ogni tempo.
In questa ottica si comprende l’immagine del fuoco, non un fuoco che solamente purifica e rende giustizia, ma soprattutto un fuoco che ci fa sentire che siamo gli, un fuoco che scalda e consola: il fuoco della tenerezza di Dio
Quando uno è amato, non ha bisogno che qualcuno glielo dica; lo sente e basta. Lo sente dentro e prova gioia. Così è sentirsi amati da Dio: si sente dentro che siamo accolti così come siamo, si sente che Dio Padre ci comprende profondamente e ci tratta da gli. Non c’è più paura del giudizio e a Lui possiamo chiedere ogni cosa.
Come avere questa esperienza? Il Vangelo afferma che su Gesù scese lo Spirito Santo quando, appena ricevuto il battesimo, era in preghiera. Quindi per sentire che siamo amati, serve la preghiera.
Ma quale preghiera? Quella che ci permette di chiamare Dio padre, quella che sa di dialogo tra figlio e padre, fatta di confidenza come descritto nella parabola dell’amico insistente, raccontata da Gesù per rispondere alla richiesta di insegnare a pregare. E Gesù insegna non tanto una preghiera fatta di precise frasi, ma semmai manifesta quale sia lo spirito della Sua preghiera, una preghiera audace, insistente e spontanea, piena di confidenza, come si fa tra amici (Lc 11,1-13).
Per questo Gesù stesso invita ad invocare continuamente il dono dello Spirito Santo. È suo il compito di confermarci che siamo gli, è Lui che infonde sicurezza che siamo amati, è Lui che ci insegna a parlare con gemiti inesprimibili, a rivolgerci a Dio con fiducia come un bambino.
Anzi, è Lui stesso che prega dentro di noi (cfr. Rom 8,15-17.26-27).
Preghiamo con lo stesso atteggiamento di Gesù, impariamo a trattare Dio come amico usando lo stesso linguaggio, come dice la Scrittura, quello di chiamare Dio Abbà, Padre.
Allora ci sarà la vera conversione, quella alla misericordia.