Commento al Vangelo, 11 maggio 2025 – Gv 10,27-30
In questo brano evangelico viene affermata con forza una verità evangelica: Dio è più grande di tutti. Spesso si vive con un’idea religiosa che, purtroppo, non solo non è vera, ma viene adottata come visione di vita e cioè che siamo noi ad andare a Dio e se non lo facciamo ci troviamo separati da Lui. È l’immagine erronea di un Dio che si deve raggiungere, di un Dio da rendere benevolo con le nostre preghiere e azioni buone. Ma così non è! Dio è e rimane sempre Colui che ama; per questo ci ha affidati a Gesù, il quale si comporta con noi come il buon pastore che cerca la Sua pecora di modo che nessuna vada perduta. Lui stesso le ha ricevute dal Padre, il quale è più grande di tutti, più di ogni situazione avversa per cui nessuno e niente può toglierle dalle Sue mani. È l’invito a non disperare perché alla fine Dio farà di tutto perché restiamo nel Suo amore, perché rimaniamo Sue pecore. Per questo ha inviato Suo Figlio Gesù perché fosse il pastore di noi tutti e ricevessimo da Lui in dono la vita eterna.
Se da una parte c’è l’assicurazione che il Padre sarà a noi vicino, dall’altra il Vangelo indica cosa si è chiamati a fare per vivere questa vicinanza con Dio. Se Gesù è il pastore e come tale si comporta, a noi è richiesto di vivere da pecore.
Che Gesù si identifichi come pastore sta ad indicare che Lui custodisce le Sue pecore affinché nessuno e nessuna situazione possa avere il sopravvento. Per questo infatti ha dato la vita come segno estremo di questa Sua volontà; Lui non può comportarsi diversamente da un vero pastore che davanti al lupo non fugge, ma lotta fino a vincere, costi quel che costi. Per Lui ogni singola pecora vale come le restanti novantanove.
Noi siamo pecore e come tali siamo invitati a stare vicino al pastore, a seguirlo, ad ascoltare la Sua voce perché si possa trovare pascolo e sicurezza. Ecco il nostro compito, la nostra chiamata: ascoltare la voce di Gesù, buon pastore.
Però non basta nascere pecora, ma si diventa sempre più pecora nella misura che si ascolta la voce del pastore. È il processo di trasformazione! Troppo spesso confondiamo l’essere una buona pecora con l’essere moralmente a posto. Ci si illude che la voce di Dio si identifichi con i comandi morali a noi più congeniali fino ad arrivare a pensare che si è buoni perché ci si comporta bene. Leggendo il Vangelo però sembra sia il contrario. Ascoltare sembra essere la priorità della pecora e garanzia di stare con Gesù.
Ma come riconoscere, ma soprattutto come ascoltare la voce di Gesù?
La voce di Gesù è il Vangelo della buona e gioiosa notizia. La Sua voce non può che essere espressione dell’amore del Padre che ci vuole salvi e felici. Ecco un primo criterio per riconoscere la voce di Dio: tutto ciò che provoca la vera gioia e libertà di poter amare. Ed il vero amore si chiama carità. La voce di Dio ha le caratteristiche dell’incarnazione: misericordia e vicinanza. La parola di Gesù la riconosciamo attraverso i segni di amicizia e di tenerezza, di presenza e accoglienza, tutte espressioni dell’amore che non abbandona.
Ecco che ascoltare significa diventare sensibili alla compassione fraterna in modo da trasformare la nostra fede in carità operosa. Si ascolta con il cuore di modo che possa ardere fino a vedere Dio accanto a noi.
Una pecora ascolta nella misura che il suo camminare diventa solidarietà vera e generosa sull’esempio di Gesù che ha dato la vita per noi e si è fatto vicino a noi fino a chiamarci amici.
Allora nascerà spontaneamente la preghiera e da soli i nostri piedi seguiranno le orme di Gesù, cammineremo al Suo fianco.
Diamo priorità all’ascolto del Vangelo della misericordia così che il nostro ascoltare abbia il sapore di carne ferita che deve essere curata e amata, un sapore di carità. Così ci sentiremo pecore dell’unico pastore, Gesù, al quale siamo stati affidati dal Padre.
Avremo così gli stessi sentimenti di Dio, parteciperemo del Suo stesso cuore e non ci sentiremo abbandonati.











