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Commento al Vangelo, 11 febbraio 2024 – Mc 1,40-45

Il vangelo narra dell’incontro di Gesù con un lebbroso, prototipo di come Dio viene incontro a ciascuno di noi.
Secondo la tradizione giudaica del tempo, se qualcuno aveva qualcosa di strano sulla pelle doveva andare dal sacerdote che lo controllava. Nel caso fosse riscontrata della lebbra, questi veniva escluso da ogni tipo di vita sociale e religiosa fino alla sua completa guarigione. Al lebbroso non rimaneva altro che vivere da escluso ed aspettare fino a diventare, forse, sano e nuovamente presentarsi ai sacerdoti per farsi riesaminare ed essere così riammesso alla vita sociale e religiosa, dietro pagamento di un’offerta come prescritto nella Legge.
Tutta questa procedura manifesta quale fosse il tipo di relazione con Dio: Dio ci guarda, ci giudica ed emette il Suo giudizio circa la nostra idoneità di stare alla Sua presenza. Solo chi è puro può vivere in comunione con Dio e con gli altri uomini.
Gesù, al contrario, propone un altro modo per essere graditi a Dio e agli uomini. Egli guarda il lebbroso per guarirlo e per ridonargli la comunione senza sottoporlo a nessun controllo. E tutto gratuitamente.
Se per la Legge ciò che conta e riabilita una persona è la purificazione, per Gesù è la comunione.
In questa ottica, la lebbra diventa motivo per avvicinarsi a Gesù, non per allontanarsi, e Dio diventa amico di chi ha bisogno. È il superamento della paura del giudizio e dell’ipocrisia: valiamo per quello che siamo e non per la nostra purezza e canonicità. Per il Vangelo ciò che vale è la comunione che nasce dalla misericordia e dall’accoglienza. E la comunione esige accoglienza, non perfezione. La perfezione cristiana non consiste nella purificazione, ma nella misericordia: è questa la novità evangelica perché così è Dio, buono con tutti che va incontro a tutti per offrire in dono la Sua amicizia.
Di questa novità evangelica siamo tutti chiamati a dare testimonianza, perché tutti siamo dei lebbrosi bisognosi di essere guariti dalla misericordia di Dio. Gesù infatti invita il lebbroso ad andare a mostrarsi al sacerdote perché serva di testimonianza del passaggio dal giudizio all’accoglienza.
Se ora vige la nuova Legge della comunione che supera quella della purificazione, allora la priorità non sarà quella di essere puri, ma accoglienti del proprio fratello, senza paura della sua lebbra. È non permettere che un difetto o qualcosa che non va sia motivo per allontanare ed isolare un fratello.
Questo è il modo di fare di Dio e questo dovrebbe essere il nostro modo di agire: la comunione precede e supera il difetto. Anzi, la “lebbra”, che tutti abbiamo, è un appello ad accogliere l’altro così com’è, a non pretendere che cambi secondo i nostri schemi e che si adegui alle nostre regole.
In quest’accoglienza misericordiosa avviene la vera guarigione. La guarigione non è più “Vai là”, ma un “Rimani qui con noi”. La guarigione non è eliminare a tutti i costi un difetto, ma è semmai coprire il difetto con l’accoglienza e la misericordia perché nessuno si senta condannato.
È dare sempre e a tutti la possibilità di sentirsi amato. L’accoglienza ci permette di non avere paura di quello che siamo e di non aver paura del giudizio di Dio e degli altri. È la pedagogia evangelica dei difetti.
Non scandalizziamoci del limite del fratello, ma facciamo gesti concreti di accoglienza, senza vergognarsi, senza giudicare, ma coprendo le nostre povertà con una misericordiosa e gioiosa accoglienza. Allora ci sentiremo amati e potremo testimoniare la vicinanza di Dio e la Sua gratuità.