Commento al Vangelo, 31 agosto 2025 – Lc 14,1.7-14
Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti.
È l’invito di Gesù di fronte agli invitati che facevano a gara a scegliere i primi posti a tavola incuranti l’arrivo di un ospite più ragguardevole al quale lasciare il posto.
È normale lasciarsi trascinare da un criterio meritorio, per cui si pensa di poter meritare un premio, un posto più in alto, un riconoscimento per ciò che si è fatto. Si arriva a pretendere e quindi a credersi migliori di ciò che in realtà si è. Si pensa di avere diritto ad una ricompensa proprio come quando inviti qualcuno che a sua volta possa ricambiarti il favore.
Gesù offre una prospettiva opposta: non partire dal premio che potremmo ricevere, ma da ciò che ci viene dato in dono. Il dono è gratuito e libero e, per essere compreso, suppone una situazione immeritoria. È l’invito a sentirsi bisognoso, a non pretendere. Con il criterio del merito si pretende, con quello del dono, invece, si riceve e si impara.
Ecco l’invito a mettersi nella disposizione di vivere il dono, consci della nostra povertà e inadeguatezza. Allora sorge spontanea la gratitudine che fa apprezzare sia il dono che il donatore. L’essere grati per ogni cosa ci aiuta a vivere con libertà le vicende della vita, ci permette di vincere le pretese e di accogliere la nostra povertà con pace, ma soprattutto ci fa vedere la grandezza del donatore. E questo donatore è Dio. Dire grazie è aprire gli occhi non solo sulla nostra povertà, ma soprattutto sulla bontà di Dio che ci viene incontro con la Sua benedizione. La gratitudine ci mette nella condizione di vivere la bontà di Dio come dono gratuito e libero.
Vivere senza l’ansia di ricevere un tornaconto, esige il coraggio di fare gesti disinteressati come suggerisce Gesù senza illuderci nella ricompensa. Allora, poco a poco, impareremo a vincere la pretesa e ad essere semplicemente liberi di amare.
Proprio così fa Dio con noi: ci ama senza pretendere una nostra risposta, quella della nostra conversione. Potremmo dire che ci ama così come siamo e ci offre la possibilità di rimanere tali.
Facendo così anche noi, gli altri si scopriranno accolti e amati in modo libero e disinteressato, senza contraccambio. Il frutto sarà la comunione e la gioia, certi di essere amati per ciò che siamo e non per ciò che possiamo diventare. Diventeremo veri fratelli e sorelle.
Si potrebbe obiettare che interpretare in questo modo elude ogni possibile necessità di conversione. In realtà la vera conversione non nasce da una pretesa di una possibile ricompensa, ma semmai sorge da un cuore grato che si sente amato senza pretendere nulla in cambio. La conversione nasce dalla gratitudine, non dalla pretesa. La fioritura esige un concime particolare: il grazie per continuare ad amarmi così come sono.











