Don Manlio SodiApprofondimenti

Conoscere la splendida enciclica di papa Francesco Dilexit nos sulla devozione al Sacro Cuore

La recente pubblicazione della quarta lettera enciclica di papa Francesco – dal titolo «Dilexit nos – Ci ha amati» – costituisce una opportuna occasione per conoscere più a fondo una devozione già ben consolidata nel popolo cristiano.

L’enciclica «sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo» porta la data del 24 ottobre scorso. In 220 paragrafi si snoda un percorso che si muove anzitutto con la sottolineatura dell’«importanza del cuore» attraverso la risposta all’interrogativo: «Cosa intendiamo quando diciamo “cuore”?». Da questa precisazione l’invito a «ritornare al cuore»: là dove ogni persona fa la sua sintesi, e oggi quanto mai essenziale trovandoci in una società di «consumatori essenziali che vivono alla giornata…». Del resto è «il cuore che unisce i frammenti» e rende possibile qualsiasi legame autentico. Ma una domanda sorge impellente: «Ho un cuore?». Da qui la sottolineatura provocata dal titolo: «Il fuoco» per introdurre il richiamo che «solo il cuore è capace di mettere le altre facoltà e passioni e tutta la nostra persona in atteggiamento di riverenza e di obbedienza amorosa al Signore».

Da questi orizzonti si dipana poi una certezza programmatica: il mondo può cambiare a partire dal cuore, con gesti e parole d’amore, con gesti che riflettono il cuore, che orientano sguardi e parole. In questa linea l’enciclica si dilunga sulla devozione al Sacro Cuore.

Qual è la prima impressione di fronte all’enciclica?

Il testo di papa Francesco racchiude un orizzonte di pensieri che mentre consola tutti coloro che sono sorretti dalla devozione al Sacro Cuore, ne consolida la certezza di muoversi all’interno di una spiritualità garantita dal Magistero della Chiesa. E questo sarà per tutti un ulteriore invito a valorizzare tutte quelle forme di devozione che la tradizione ci affida.

L’enciclica si sofferma su alcune di queste devozioni: ce ne sono di nuove?

Nella terza parte si legge, in apertura, che «la devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù. Ciò che contempliamo e adoriamo è Gesù Cristo intero…». A questo è orientata la venerazione della sua immagine; a questo tendono le varie forme di pietà che venivano ricordate già nel Direttorio su pietà popolare e liturgia: la consacrazione personale, la consacrazione della famiglia, le litanie del Cuore di Gesù, l’atto di riparazione e – in particolare – la pratica dei nove primi venerdì del mese, che trae origine dalla grande promessa fatta da Gesù a santa Margherita Maria Alacoque. Non ci sono pertanto delle novità, ma c’è soprattutto un invito ad approfondire una realtà che ci riporta nell’orizzonte più vasto della spiritualità della Chiesa.

Le nostre parrocchie possono allora diventare un faro e un esempio per rinnovare e incrementare la devozione?

Senza dubbio l’enciclica ci responsabilizza molto di più perché se da una parte rinsalda la vitalità di questa comunità, dall’altra ci permette di attingere nuova linfa dal documento; basti pensare, ad esempio, alla sintesi di quanto offerto lungo il tempo dal Magistero. Ma c’è poi il contenuto della quarta parte che invita ad aprire nuovi percorsi. Il titolo «L’amore che dà da bere» appare sibillino ma è emblematico perché sollecita quella sete dell’amore di Dio di cui la Scrittura offre pagine indimenticabili, nuovamente espresse e approfondite con una pluralità di forme e di linguaggi lungo la storia attraverso la voce dei Padri. Un insieme di contributi che poi hanno dato vita alla nascita e soprattutto alla diffusione della devozione al Cuore di Cristo.

Nell’enciclica sono nominati molti personaggi: ce ne sono alcuni che colpiscono particolarmente e il cui pensiero può essere rilanciato?

Dal riferimento a san Francesco di Sales fino alle risonanze nella Compagnia di Gesù l’enciclica presenta una successione di persone la cui santità è caratterizzata dalla devozione al Cuore di Cristo. Tutti meritano un’attenzione specifica, e l’enciclica offre elementi preziosi pur nella sinteticità del testo. Dall’insieme traspare una lunghissima corrente di vita interiore che certifica l’unione del proprio cuore con quello di Gesù.

Dal n. 151 in poi si parla della «devozione della consolazione»; come si deve valutare quanto lì viene indicato?

«La ferita del costato, da cui sgorga l’acqua viva, rimane aperta nel Risorto». Questa affermazione fa riflettere in vista di un’operatività che si basa sull’essere con Lui sulla Croce per dargli consolazione. Le ragioni del cuore fanno parte di quel sensus fidelium cui si accenna nel n. 154. Anche da qui traspare l’unitarietà di quel Mistero pasquale «che si rende presente per la grazia nelle sue due dimensioni: fa sì che mentre cerchiamo di offrire qualcosa a Cristo per la sua consolazione, le nostre stesse sofferenze vengono illuminate e trasfigurate dalla luce pasquale dell’amore. Ciò che accade è che partecipiamo a tale Mistero nella nostra vita concreta, perché in precedenza Cristo stesso ha voluto partecipare alla nostra vita, ha voluto vivere anticipatamente come capo ciò che avrebbe vissuto il suo corpo ecclesiale, tanto nelle ferite quanto nelle consolazioni».

Tutto questo costituisce un invito ad immergersi in un documento che darà un contributo formidabile al rinnovamento della nostra devozione al Sacro Cuore. Non abbiamo fatto cenno all’ultima parte dell’enciclica – «Amore per amore» – per offrire ai lettori la gioia di scoprire la grande ricchezza che anche questo documento magisteriale viene ad illuminare il percorso della Chiesa del nostro tempo nel continuare ad essere «una fonte per gli altri», un invito alla fraternità e alla mistica; in una parola: un continuare a riparare i cuori feriti e a costruire sulle rovine causate da ogni forma di male e di peccato per «far innamorare il mondo»!

«Ciò che questo documento esprime – si legge nel n. 217 – ci permette di scoprire che quanto è scritto nelle encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti non è estraneo al nostro incontro con l’amore di Gesù Cristo, perché, abbeverandoci a questo amore, diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura, insieme, della nostra casa comune».

Il Direttore Spirituale

Prof. Don Manlio Sodi