Commento al Vangelo, 28 aprile 2024 – Gv 15, 1-8
Gesù usa la similitudine del tralcio legato alla vite per sottolineare il legame che esiste tra il Padre, Lui stesso e noi: il Padre è il vignaiolo, Gesù la vite e noi i tralci. È un’immagine forte e molto espressiva per sottolineare che la nostra vera identità sta in questo legame, che apparteniamo a Dio e che solo grazie a Lui la nostra vita è veramente tale, fruttuosa e gustosa come il grappolo d’uva. È l’espressione di una dipendenza da cui deriva l’esito della nostra vita, che la rende bella, piena e attraente.
Solitamente si pensa che ciò che ci tiene legati a Gesù sia una vita virtuosa fatta di opere buone, mentre, al contrario una vita segnata da infedeltà e peccati allontana. Ma questo mi pare troppo semplicistico e fuorviante. In realtà non siamo noi a rimanere uniti a Gesù, è invece Lui che rimane attaccato a noi e di conseguenza siamo in comunione con il Padre. Quello che ci viene chiesto è di rimanere in questa situazione di dipendenza. Lui stesso lo conferma affermando che siamo già puri per la parola accolta. È rimanere in un atteggiamento di accoglienza del Suo amore, della Sua salvezza sapendo che da soli ci secchiamo.
Ciò che ci tiene uniti non è neppure la fede come se questa fosse un collante a nostra disposizione da usare a piacere. La verità è più radicale: senza di Lui non possiamo fare niente.
Rimanere in questo atteggiamento di dipendenza significa assumere una posizione attiva, non passiva, intesa come risposta accolta e coltivata fino a diventare uno stile di vita: quello della gratitudine. È vivere la logica del dono e della gratuità capace di produrre frutto.
In questa ottica si comprendono e accolgono le diverse potature che aiutano a fare spazio alla vita che copiosamente viene a noi. Le potature non le scegliamo noi, le sceglie il vignaiolo. Esse sono le vicende della vita, buone o cattive, che, se viste da questo punto di vista, sono strumento per dipendere ancora di più da Dio e per produrre frutto.
E il frutto è la nostra testimonianza di gioiosa dipendenza da Dio.
Portare frutto non si riduce ad avere una vita moralmente sana, fatta di preghiera, di opere di carità e di successo pastorale. È invece diventare testimoni di uno stile di vita segnato dalla gratitudine e dalla gioia, che rifletta la gratuità del dono che viene continuamente e generosamente dal Padre attraverso Gesù, unica vera fonte di vita. È vivere senza dare troppo spazio alle preoccupazioni, alle nostre condizioni, in serenità, sapendo che chi si è legato a noi è il Signore, non noi, una unità che nulla e nessuno può rompere.
Rimaniamo aperti e accoglienti in una continua gratitudine. Allora testimonieremo il nostro essere amati da Dio, il nostro non essere mai abbandonati; così produrremo un frutto abbondante di gioia e di libertà, un frutto che mostri la grandezza e la generosità di Dio che ci ha amati a tal punto da legarsi per sempre a tutti noi.