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Commento al Vangelo, 16 febbraio 2025 – Lc 6,17.20-23

In questo brano del Vangelo vengono presentate due categorie di seguaci di Gesù: la grande moltitudine di gente e la folla dei suoi discepoli. C’è una moltitudine e in mezzo ci sono i discepoli a cui propone uno stile di vita diverso. È un messaggio che mostra l’identità del discepolo, di chi vuole vivere secondo il Vangelo.
Gesù si trova davanti a tanta gente. Di fronte alle sofferenze e alle miserie del popolo, Egli alza gli occhi e propone un nuovo modo di vedere: saper guardare oltre, più in là dell’immediato. Non dice di arrendersi all’ingiustizia, di scegliere un quietismo anti evangelico e di considerare cattivo il benessere, ma invita a vedere in modo più profondo la realtà, che purtroppo spesso ci inganna. Si è soliti considerare beato il ricco, chi ha successo, colui a cui va tutto sempre bene. Ma questo è un aggrapparsi al presente, che per sua natura è instabile, senza renderci conto che tutto ciò non fa altro che causare ansia, paura del futuro e alla ne disperazione. Questa non è beatitudine, ma semplice illusione. È avere uno sguardo superficiale.
Ecco che Gesù offre ai discepoli una via diversa, quella di confidare nel Suo aiuto senza lasciarsi intrappolare dalle circostanze mutevoli della vita. Infatti la vera beatitudine non è che tutto vada bene, ma è confidare nel Signore.
Confidare nel Signore e non lasciarsi condizionare dall’oggi è la proposta di Gesù, il Suo stile di vita.
Così ha vissuto, confidando nel Padre che non lo avrebbe lasciato in preda alla morte. Ed è stato risuscitato.
Ecco che allora le beatitudini esprimono la vera intenzione di Dio, quella di donarci speranza. Beato non è chi non soffre pene, chi non piange, chi non è perseguitato; al contrario è beato colui che, pur soffrendo, confida nel Signore, lo vede presente e sa attendere il compimento delle promesse, un compimento non dovuto ai nostri meriti, ma ricevuto come un dono. Il presente, se visto con fiducia, nonostante tutte le sue povertà e difficoltà può diventare un trampolino per un futuro pieno di benedizione.
In questo modo le beatitudini non si esauriscono in semplici precetti morali, ma vanno oltre ed indicano modi di vivere, di sperare; sono un richiamo a guardare in alto ed a non fermarci al momento presente. È imparare, giorno dopo giorno, a sperare nella ricompensa. E questa ricompensa non è un premio, ma indica che il male ha un termine oltre il quale non può andare: è la vittoria del bene! Non sempre i problemi si risolvono, ma il vero miracolo è che non sono schiavo di quello che sento e di quello che patisco, ma che riesco a sperare, perno a trovare motivi per cui gioire. Il miracolo non è solo quando cambiano le circostanze esterne, ma quando cambiamo noi e cominciamo a confidare in Dio che si occupa di noi.
Concretamente, accogliamo con gratitudine le vicende della vita in pace confidando in Dio, sapendo che tutto concorre al nostro bene. Allora vedremo Dio dovunque, anche nelle prove.
Combattiamo la buona battaglia della speranza con un linguaggio ispirato alla gratitudine per ogni cosa e così vivremo e testimonieremo la vera beatitudine.